La lotta al terrorismo è ormai una delle preoccupazioni principali per quasi tutte le Nazioni del Mondo, in particolare quello di matrice islamica.

Ogni anno vengono destinate ingenti somme per cercare di prevenire attacchi contro la popolazione. L’attività di intelligence è costosa, così come tutto quello che viene dopo un attentato (eventuali danni materiali, indagini, processi per terroristi che possono venire catturati, etc). In cima a tutto questo c’è la perdita di vite innocenti e la paura che si insinua nella popolazione. Un paura che intacca le cellule come un cancro, che fa cambiare il modo di pensare, le abitudini, che condiziona l’opinione verso determinati gruppi di persone.

La paura genera odio e l’odio genera altra paura.

Un circolo vizioso difficile da spezzare. Ed è proprio quello a cui puntano i terroristi. La paura è uno dei sentimenti che dominano l’uomo da sempre. Non è facile da gestire e spesso se ne viene sopraffatti. Quando questo accade l’uomo può arrivare a perdere ogni volontà di combattere. I violenti vincono e riescono ad imporsi sulle masse. Talvolta succede che la paura si trasforma in rabbia e allora possono iniziare le rivoluzioni.

I maggiori leader mondiali nei loro discorsi assicurano che il terrorismo verrà sconfitto. Ma la lotta al terrorismo è davvero possibile? E come sta andando fino ad ora questa lotta? Chi sta vincendo?

Beh, se stiamo a sentire le due parti entrambe sono in vantaggio. Io mi immagino i due contendenti come pugili sul ring. Uno, che rappresenta la società civile, combatte mettendo a segno una moltitudine di pugni, veloci ma poco incisivi. Sono le tante operazioni antiterrorismo in cui vengono arrestati aspiranti terroristi che hanno in mente piani più o meno fattibili. È un’ attività logorante e senza sosta, dove si lavora nell’ombra e con mille difficoltà.
Il secondo pugile sa incassare bene ed ha uno stile diverso. Riesce a piazzare pochi colpi ma quando lo fa riesce a stordire l’avversario facendolo barcollare.

La lotta al terrorismo sembra fare il solletico ai terroristi ai quali basta davvero poco per fare crollare le certezze della gente. Possono essere portate a termine mille operazioni antiterrorismo tuttavia, basta un attacco riuscito a minare la fiducia nella popolazione.

Tra l’altro il provetto terrorista non ha più bisogno di grosse risorse per portare a termine il suo lavoro. Non c’è più bisogno di bombe o armi chimiche. Basta prendere un bel coltello, con la lama affilata, ed entrare su un treno affollato di pendolari. Il terrorista sa che con un po’ di buona volontà riuscirà ad ammazzare un discreto numero di persone prima di essere fermato. Forse il giorno dopo buona parte dei pendolari prenderà l’automobile o starà a casa. Però, prima o poi torneranno a prendere il treno e la vita riprenderà come tutti i giorni.

Alla fine il caro terrorista, se ancora vivo, potrebbe chiedersi: “ma allora tutto questo casino per niente?”

Non proprio.

Il suo attentato avrà generato altro odio, altra intolleranza, altra paura e tutte queste belle cose non si buttano via, anzi, sono il pane dei terroristi. Aiutano a reclutare nuovi martiri disposti a uccidere in nome di ideali deformati. L’obbiettivo finale del terrorismo dovrebbe essere una sollevazione in massa dei seguaci dell’Islam, emarginati e disprezzati, contro gli oppressori occidentali e i loro alleati. Per fortuna, la maggior parte dei musulmani non vede di buon occhio questo pensiero. Almeno per ora.

Il terrorismo sta quindi funzionando?

Secondo me è ancora ben lontano dalla vittoria finale anche se qualche punto a segno è stato messo. Mi viene in mente l’Egitto. Gli attentati degli ultimi anni hanno messo in ginocchio il turismo. Chi è stato recentemente a Sharm el Sheik ha trovato un posto quasi deserto, anche in periodi in cui fino a pochi anni fa si registrava il tutto esaurito. Si possono trovare alberghi chiusi e altri mai aperti. Nonostante ci sia stato un forte incremento dei controlli, molta gente preferisce ancora evitare di frequentare l’Egitto. I danni economici per la terra dei Faraoni sono ingenti.

Combattere il terrorismo sembra quasi impossibile, eppure deve essere fatto.

L’attività di intelligence è fondamentale ma è piena di ostacoli perché soggetta a delle regole. Il rispetto della privacy è una di queste. Negli ultimi anni è diventato di dominio pubblico il fatto che i servizi segreti americani hanno occhi e orecchie dappertutto. Si intrufolano nelle chat, nei profili social, addirittura sembra che riescano a spiare qualcuno tramite le televisioni ultimo modello. La privacy dei cittadini è a rischio. L’opinione pubblica si indigna. Nel frattempo, i terroristi utilizzano chat e social per preparare attentati. La gente chiede sicurezza e rispetto della privacy allo stesso tempo.

A mio giudizio, nell’epoca del mondo interconnesso, è come chiedere la botte piena e la moglie ubriaca.

Ma questa è una mia opinione, magari mi sbaglierò. Di certo bisogna tenere conto della paura che i dati sensibili estrapolati possano venire usati contro di noi, magari da qualche impiegato disonesto. Ad un certo punto bisognerà capire che cosa fa più paura.
In un modo o nell’altro la prevenzione va fatta. Si raccolgono dati, prove e finalmente viene arrestato qualcuno. Ottimo lavoro. Non resta che processare gli aspiranti terroristi. Facile? Non proprio. Ci sono le leggi, gli avvocati, i giudici. In un aula di tribunale, a meno che il terrorista non sia stato beccato a sparare con un Kalashnikov sulla gente, tutto può succedere. Può accadere che mesi o anni di lavoro vengano vanificati da qualche cavillo.
Il lavoro di intelligence si snoda attraverso vari ostacoli mentre i terroristi non hanno regole. Tornando ai pugili, è come se il secondo contendente combattesse con tirapugni d’acciaio invece dei guantoni.

Come andrà a finire questa sfida lo scopriremo solo vivendo, come cantava Battisti. Quello che possiamo fare da cittadini è cercare di resistere alla paura continuando a vedere il mondo con lucidità.