Avete mai immaginato di trovarvi in un vecchio cinema a guardare uno di quei filmati che mostrano lager nazisti pieni di ebrei deportati?

Le proiezioni sono quasi sempre tremolanti e la musica di sottofondo – aggiunta da perspicaci giornalisti con il gusto del tragico – è un crescendo di note disperate.
In linea con i film in bianco e nero di inizio secolo che avevano una colonna musicale che sottolineava ogni immagine con note portanti, i moderni Lumiere provano a sopperire con la musica ogni dialogo che non sia scontato o banale.

Ma il risultato?

Basta vedere certe trasmissioni televisive per avere la risposta.
I filmati nazisti sono simili a quelli moderni provenienti dal Medio Oriente.
A rendere monocromatico questo nuovo documento storico è lo scenario assolato, desertico e privo di colore naturale dei luoghi.
Oggi possiamo ascoltare tuttavia audio in alta definizione di musiche trionfali attraverso i vaneggiamenti di uomini barbuti con il dito indice sempre alzato.
Nel migliore dei casi il vaneggiamento del barbuto – e relativa colonna sonora – è sostituito dalla voce grave e sostenuta di un giornalista che commenta le immagini. Così possiamo guardare – mentre ceniamo e celebriamo la vita – un bambino impolverato che si asciuga il sangue dalla faccia – che non ci mostrano – per quasi due minuti in primo piano seduto in un’autoambulanza.

Lo guardiamo e cerchiamo di ingoiare il nostro boccone che è diventato stranamente insipido, sentendoci colpevoli, vittime.

Consapevoli.

Nel frattempo, fuori, lì, gli uomini barbuti con il dito indice alzato continuano ad ammazzarsi. E ad ammazzare.
La chiamiamo cronaca, diritto d’informazione.
In un intervista nel dopoguerra a Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz e scrittore poi, gli veniva chiesto se eventi come quelli sarebbero potuti riaccadere. La risposta era no, almeno non nell’arco di cinquanta, cento anni diceva, e nemmeno in Europa. Ma il mondo è grande, concludeva.
La sua considerazione era vera in parte, in quanto non tanti anni dopo, la guerra dei Balcani ha visto stesse atrocità in quanto a stermini, torture, pulizie etniche e intolleranza religiosa.
Non ho memorie di filmati, né documentari a colori di quell’epoca che evocano lo stesso disagio – parlo per chi ha un minimo di coscienza – del bianco e nero di vecchie pellicole o di foto ingiallite che continuano a ricordarci cosa siamo capaci di fare.

La storia insegna.

Basta leggerla, documentarsi un pochino, per scoprire quali e quanti crimini sono stati perpetrati per il dominio sui popoli, le loro risorse, la loro morale, per un credo religioso.

La storia insegna, ma l’uomo non impara.

Se ci sarà concesso, racconteremo anche questo ai nostri nipoti che guarderanno la storia moderna come noi abbiamo visto quella passata: in bianco e nero, quasi fosse il frutto di una invenzione.
Roba vecchia, roba passata
Lontano da telecamere o fotografie, intanto, eccidi, torture e pulizie etniche restano una consuetudine. Ancora oggi, da qualche parte nel mondo dove il Vecchio Continente non ha i propri interessi, un dittatore con il coltello fa sgozzare i propri avversari, un monarca con la lancia fa impalare i propri nemici, un presidente con la pistola fa un po’ come cazzo gli pare.

Allora ci si indigna a colori.

Celebriamo dunque il bianco e nero del passato da non dimenticare, ma pensiamo pure ad una bella passata di vernice fresca periodica, un investimento continuo a lungo termine e meno stronzate melodrammatiche per spillare soldi, audience, lacrime o un voto.