colosseo
Colosseo di notte

La potenza del mare di notte. Ci sono cose che pensi stabili come il Colosseo, tanto per intenderci oppure come il mio matrimonio tanto per ricordarmi quanto sono scema.

Conosco Stefano da sempre, mi sa che pure l’asilo abbiamo fatto assieme. I miei sono i suoi figli, ci appartiene un appartamento su cui abbiamo appena finito di pagarci il mutuo mentre abbiamo ancora in corso il prestito chiesto per gli studi di Alessandra a Londra. Insomma lui se n’è andato e io lo cerco, disperata, eppure spero di non incontrarlo, non con lei.

Che sono scema già l’ho detto ma che non ho voglia di vivere, quello no, me lo sto dicendo ora. Perché vivere se la vita pesa così tanto?

Il mare di notte … La spiaggia è deserta a quest’ora di notte e i sandali affossandosi a ogni passo, portano su poi una grossa quantità di sabbia che va a distribuirsi negli incavi delle dita, sfregandoli. Mi abbasso per sfilarli. Per un po’ li porto dietro, poi li lancio verso il muretto. Tanto non mi serviranno più. Mi dirigo decisa al bagnasciuga. A tratti mi arrivano risa di ragazzi.

L’acqua ghiaccia mi avvolge le caviglie. Piango ma proseguo. Forse dovrei lasciare due righe per i figli.

Il mare mi tiene per i fianchi. Ora sciaborda alla base della nuca mentre continuo a sciogliermi in calde lacrime. Stanca di sorreggermi sulle punte, precipito sui talloni, l’acqua mi entra nel naso. Chissà se morire è uguale a tutte le sciocchezze che ho letto nel corso degli anni.

Black-out.

Un dolore lancinante parte dalla radice dei capelli. Il peso del mio corpo trascinato cade tutto sui talloni che mi fanno un male boia. Non vedo luci, quelle bianchissime oltre il tunnel.

Voci adolescenziali. Penso che l’acqua mi esce dappertutto anche dalle orecchie. Vomito pure l’anima. Mani mi tamponano forte il torace. Tossisco anche per fargli capire di smettere. Cazzo, sono viva.

“Basta.” Continuo a dire mentre mi sfilano i vestiti e le loro mani frugano fra le mutandine.

“Basta.” Mentre mi girano e rigirano, abusandomi a turno.

L’alba rischiara un mucchio di stoffa impastato di sabbia. L’afferro e nel mare mi strofino fino a raschiarmi la pelle, fino a vederla sanguinare sulle parti livide.

Infilo quello che rimane dei vestiti e malferma, a gambe larghe mi avvio. I piedi si trascinano nella sabbia che oppone resistenza, pare cemento. Oltre il muretto le luci cittadine si stemperano nell’albore crescente. Afferro quel che rimane del collo di una bottiglia di birra e con quell’arma stretta nel pugno, attraverso la città. Il mio istinto di sopravvivenza non è mai stato così prepotentemente attivo.