E quando vide noi, sé stesso morse.

“Ricordati la Genesi. E siccome l’usuraio è preso da tutte altre cose, disprezza il lavoro umano, come la natura, quindi indirettamente denigra Dio. Ma ora basta; stammi dietro, perché dobbiamo andarcene. L’alba si avvicina, e laggiù vedo il punto giusto per scendere”.

In tal modo Virgilio a Dante, fissandolo con occhi severi – nella chiusura dell’undicesimo canto dell’Inferno – dopo che in poche, ma significative battute, dopo aver scomodato perfino Aristotele, gli ha risolto il dubbio sugli usurai, sollevato non senza qualche apprensione dal Sommo Poeta.
Al quale, poco prima, non era stato ben chiaro il motivo per cui i dannati posti fuori della città di Dite, fossero costretti a patire una pena meno gravosa rispetto a quella di tutti gli altri, confinati invece nel basso Inferno – plasticamente rappresentato proprio da quella città.

Il punto in cui giungemmo che consente di discendere la costa era scosceso e, anche per quel che vi era, tale, che ogni sguardo ne sarebbe restio. Com’è quella frana che a valle di Trento colpì la riva dell’Adige, o a causa di un fenomeno sismico o a causa di un appoggio venuto meno, che dalla sommità del monte, da cui precipitò, fino alla pianura è sì la rupe dirupata e malagevole, ma permetterebbe un qualche passaggio a chi fosse in alto: così era la discesa di quel burrone; e sull’orlo superiore della costa franata era sdraiata la vergogna di Creta che fu concepita nella finta vacca; e quando ci vide, infierì contro sé stesso, come quegli che l’ira consuma internamente.

Da leggere: Così prendemmo via giù per lo scarco del 16.12.2017

continua su dantepertutti.com del 30.11.2017