Il fuoco diventa pioggia.

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La mia mente vaga in luoghi così lontani ed isolati che nessuno riuscirebbe a trovare. Viaggia per migliaia di km al secondo, mentre il mio corpo sta fermo qui davanti. La mia mente è una valanga di emozioni, un groviglio di parole nella testa. Dice che il balcone che vediamo era carico di amore, lei non ha retto e lui ha costruito il ricordo. Sono un’altalena. Carla lo guarda e: “da bambina mi piaceva tanto l’altalena, sono caduta tante volte, mi sono sbucciata tante volte, ah non ridere, vado ancora sull’altalena, però all’inizio mi serve una spinta”. Lui: “non sto giocando, è un’altalena terrorizzante, la mia, un momento vola tra le stelle e dopo cade”. Carla lo osserva, doveva fuggire prima.

“Un gambero amava un’aragosta, amore che non era corrisposto, per questo nell’inconscio fu rimosso e causò un desiderio di morte. Uno psicologo indagò sul fatto e non ci vide chiaro”.

Pino la interrompe “la conosco questa poesia di Herman Hesse. Sono complicato, complesso doloroso, non ho vie di mezzo anche se sei poliedrica, io sono triste e allegro..”. Un giorno mi ami e uno no, dice Carla e non sai neanche tu il perché Bipolare. Ti devi occupare di altri, ma non ti occupi di te, paradossalmente sei un bravo terapeuta, perché sei molto empatico e comprensivo. Da qualche parte ho letto che anche Freud lo era. Lui, rosso in viso: “Mi dispiace che pensi che sia freddo e distante, campane tibetane, omeopatia, riflessologia, agopuntura, Bach, le ho provate tutte, lo sai perché corri sempre al mare? La spiaggia di Sabaudia è la nostra metafora, la nostra storia è fatta di ondate e risacche. Prima sembra la cresta dell’onda e dopo è il detrito che scivola via.

L’amore è l’umore, il fuoco diventa pioggia.

Carla improvvisamente ha freddo, brividi sulla pelle. Le ritorna in mente che la prima notte facendo l’amore a casa di Pino arrivava l’eco di una canzone di Ruggeri. “Speranza” quel ritornello “prenditi gioco di me, dimmi che mi vuoi come fossi la sola speranza che chiedi per te”. Era cominciata come un gioco “prenditi cura di me, non dirmi che non mi vuoi”. Pino riprende a parlare. “Ho così tanto amore da dare, eppure sono incapace di darlo. Dentro di me ci sono due mostri dove al vincitore non spetta altro che sofferenza, dolore. E adesso vai via, spegni la luce, perché non c’è speranza e io morirò da solo. Non puoi salvare me, ma puoi salvare te. Perché sei ancora qui? Vai corri. Non meriti una persona come me, perché sono fatto di dolore. Non riesco a controllare quello che faccio, le mie mani non mi appartengono”.

Carla rivede con la moviola il film della loro storia per tanto tempo amici, poi risente quella canzone.

“Questa vita irrazionale che mi si mette in moto solo quando vuole lei, è un solletico bestiale che ci mette in gioco e ci consuma fino in fondo…..che fatica immaginare che colore avrà l’amore”. Carla è alla stazione, cellulare: “Ci vediamo”. Lui urla “Cristo no…”. La canzone torna “che dolore stare al mondo, questo girotondo ci consuma come un male misterioso, però io sposo la speranza come un metadone magico”. Carla ti fai male, le urla la donna che abita dentro di lei “è un congegno micidiale, continua la canzone, il gioco dei ricordi, quando il treno se ne va, fazzoletti alla mano, fuggi e mordi con il cuore, vagabondo che farneticando suggerisce il suo binario moribondo”. SUL CELLULARE “ABBI CURA DI TE”.

Carla sente quella canzone dentro di se, c’è sempre un perché arriva una canzone, a nulla era servito il terapeuta del cuore cucito, incontrato in quel locale dove pensava di scrivere “Ipotesi di un amore”.