Dazi commerciali rinviati di un mese. La decisione degli Stati Uniti di estendere di un mese il periodo in cui la UE sarà esentata dal pagamento dei dazi commerciali su acciaio e alluminio sposta solo il problema, ma non lo risolve. La minaccia americana continua a pendere sull’economia europea e quella globale. E’ indiscutibile infatti che le imposte sull’export innescherebbero un processo che rischia di ripercuotersi sull’intera crescita dell’economia globale. Fino al 1 giugno questo pericolo è stato scongiurato, ma dopo cosa succederà?

I mercati non amano i dazi commerciali

La forte pressione del trio Merkel, Macron, May non ha quindi ottenuto l’effetto dissuasivo sperato: Trump non ha cambiato idea. Ha solo concesso tempo. Ma ritrovare in 30 giorni un dialogo costruttivo tra le parti sembra impresa davvero complicata. Anche per questo la notizia non ha affatto rassicurato i mercati, anzi ne ha solo prolungato la fase di incertezza. L’azionario infatti non ha ritrovato la brillantezza di aprile, quando con una lunga cavalcata hanno azzerato le perdite patite da inizio anno. Del resto agli investitori l’ipotesi di una guerra commerciale non piace affatto.

Chiaramente il peso maggiore si è avuto su quelle piazze dove è forte la presenza di titoli legati agli esportatori. Come Francoforte o Tokyo. E infatti dalla fine gennaio ai minimi toccati il 26 marzo, per Dax e Nikkei le perdite sono state di oltre il 13%. Seguendo una strategia MACD RSI su questi indici s’è visto che il rapporto di forza tra compratori e venditori si è rovesciato. Tuttavia, proprio l’osservazione di questi due indici dà uno spunto interessante.

Nell’ultimo mese di mercato, entrambi questi indici si sono mossi in controtendenza rispetto al resto del mercato (+5% circa). Come mai? Grazie al cambio. Euro e yen infatti si sono indeboliti rispetto al biglietto verde nell’ultimo mese, grazie soprattutto all’atteggiamento da colomba di Haruhiko Kuroda (Bank of Japan) e Mario Draghi (BCE). L’accumulation distribution forex trading ha evidenziato una fase di accumulo sulla valuta statunitense. Cosa c’entra tutto ciò con i dazi commerciali? C’entra eccome. Infatti un euro debole abbassa il costo delle importazioni, che i dazi invece vogliono aumentare. In pratica l’effetto finale è nullo. Il tasso di cambio diventa così un’arma per sterilizzare il rischio derivante dalle tariffe commerciali. Ma Kuroda e Draghi sono pronti a usarla?