Il vizietto più antico del mondo

Togli le prostitute dalla società e ogni cosa verrà sconvolta dalla libidine ...

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Il vizietto più antico del mondo? SESSO!!!

Adesso che ho attirato la vostra attenzione vorrei parlarvi di… Ah, sì. Sesso.

Sono sempre stato convinto del fatto che solo attraverso l’esame dei dettagli di una società, scoprendo come risolvessero problemi e i modi in cui era organizzata la vita di tutti i giorni, si possa comprendere veramente la mentalità di un’epoca. I grandi eventi, quelli capaci di influenzare le generazioni future, hanno il difetto di essere generali e informali insito nella loro stessa natura. Il quotidiano invece racchiude i segreti perduti del vivere secoli lontani da noi.

Oggi parleremo della prostituzione medievale, che ci riserva aneddoti a dir poco singolari.

In qualche modo sembra di avere a che fare con un fiume che a ritmi irregolari rompa gli argini: alcuni maledicono il disastro, augurandosi che si trovi un rimedio definitivo, altri che vedono almeno un vantaggio (il fango fertilizzerà i campi), tollerano il disagio immediato. Insomma, per qualcuno c’è del buono anche nel marcio o, per lo meno, si può fare buon viso a cattivo gioco.
E se pensate che i più tolleranti fossero dei “lascivi” laici, beccatevi due dei più grandi pensatori dell’epoca. Tutti e due Santi.

Ecco San Tommaso d’Aquino. La sua idea si può racchiudere in questa frase

È proprio del legislatore sapiente tollerare alcune trasgressioni alla legge pur di farne rispettare altre ben più gravi tratto dalla Summa Theologiae; nel De regimine principum, per rimanere al nostro argomento, paragona la prostituzione con i gabinetti, luoghi maleodoranti ma senza i quali i grandi palazzi si trasformerebbero in cloache ben peggiore.

L’altro è Sant’Agostino, un gran dritto (e pure manesco), che ben prima dell’Aquino, affermava Aufer meretrices de rebus humanis, turbaveris omnia libidinibus –

Togli le prostitute dalla società e ogni cosa verrà sconvolta dalla libidine (dal II libro del De Ordine).

Certo che se persino i padri della dottrina cristiana hanno guardato alla mercificazione del corpo come a una necessità ineludibile, forse si può spiegare perché gli interventi per debellare il fenomeno non abbiano portato quella purificazione cittadina sperata. Perfino quando il re di Francia, Luigi IX detto -guarda un po’- il Santo, ordinò a più riprese, in pieno XIII secolo, l’espulsione di tutte le prostitute dal regno, i provvedimenti furono inefficaci. Comprare soddisfazione sessuale era qualcosa di esecrabile e di cui vergognarsi, certo, ma c’erano attenuanti se l’atto era compiuto con discrezione, in luoghi appartati e meglio ancora deputati allo scopo, come i bagni pubblici e i successivi postriboli ufficiali.

Insomma, si potrebbe paragonare a una funzione fisiologica.

Molto meglio pagare professionisti che sedurre sposi altrui, o peggio ancora approfittare dei reciproci bollori e trovare rimedio con l’ausilio di qualche amico dello stesso sesso. Come regolatore sociale dunque concordavano tutti, o quasi: il Luigi di prima era troppo bacchettone perfino per la sua epoca. Arrivò perfino a punire uno dei suoi cavalieri per essersi intrattenuto in un bordello durante la settima crociata, racconta Jean de Joinville nella sua famosa biografia del re Santo (Titolo originale dell’opera Livre des saintes paroles et des bons faiz de nostre saint roy Looÿs).

Al pruriginoso miles fu ordinato di scegliere fra una passeggiata al guinzaglio della meretrice per le vie di Cesarea oppure lasciare armi e bagagli e fare ritorno a casa con la coda fra le gambe.

Un male necessario, ma da non lasciar dilagare come una peste, che Dio ha dato ordine al mondo e tale deve rimanere! Occorre quindi giustificare, regolamentare. Che sia un orfano di romana memoria, o frutto di consuetudine dall’origine dimenticata, il Diritto è una faccenda importante per l’uomo del medioevo. Imprescindibile, direi. Alcuni di questi tentativi legislativi possono sembrare gare da olimpiadi di Arrampicata sugli Specchi.

Prendiamo per esempio questo breve testo, redatto alla fine del 1200, da Tommaso di Cobham, monaco e autore di un manuale di confessione.

Le prostitute devono essere annoverate fra i mercenari. Esse affittano infatti il loro corpo e forniscono un lavoro […] Di qui questo principio della giustizia secolare: in quanto prostituta agisce male, ma non agisce male ricavando il prezzo del suo lavoro, essendo ammesso che sia una prostituta. Perciò ci si può pentire di prostituirsi, e nondimeno è possibile conservare i guadagni della prostituzione per darli in elemosina. Ma se ci si prostituisce per piacere e si affitta il proprio corpo perché conosca il godimento, allora si affitta il proprio lavora e il guadagno è vergognoso quanto l’atto.

Allo stesso modo se la prostituta si profuma e si orna in modo da attirare con false attrattive e fa intuire una bellezza e lusinghe che non possiede, dal momento che il cliente compra ciò che vede, e che, in questo caso, è menzogna, la prostituzione commette con ciò peccato, e non deve conservare il guadagno che ne ritrae. Se invece il cliente la vedesse bella com’ella è veramente, non le darebbe un obolo, ma, siccome gli pare bella e brillante, le dà un denaro. In questo caso deve conservare solo un obolo e restituire il resto al cliente che ha ingannato, o alla Chiesa, o ai poveri.

Grazie a un editto redatto a Messina nel 1432, ci arriva invece una vera e propria disposizione lavorativa. In occasione dell’apertura di un bordello posto sotto il controllo regio, fuori dalla mura cittadine, si tiene a precisare che:

Le femmine non hanno diritto a preferenza in fra questo e quell’ospite. Tutti quelli che si presentano devono essere ricevuti e accontentati eccezion fatta per i leprosi, i briachi fuori di senno e coloro che mostrassero pustole e piaghe ripugnanti all’eccesso.
Analizzando una legge ad personam -epoca che vai, usanze che RI-trovi- o giù di lì, possiamo tastare il polso della situazione nel XV secolo. In un articolo dei regolamenti del 1441 di Avignone si vieta il gioco nelle taverne, nei lupanari, nelle case di donne disoneste, fatta eccezione per le case dove “i cavalieri e i valentuomini convenissero di soffermarsi per giocare”.

Qui, nel fare riferimento alle case chiuse, si dà per scontata la loro legalità.

Purché non si giochi d’azzardo, l’attività principale è consentita. E se c’è un cavaliere nella combriccola festaiola, allora via libera anche ai dadi! Numerose poi le misure restrittive. Abiti, nastri, trucco, di volta di volta, di città in città, si tentava in tutti i modi nei regolamenti di Salon-de-Provence, elaborati nel 1293 sotto l’influenza del vescovo di Arles, si vietava alle prostitute di toccare il cibo esposto dai venditori pena l’acquisto immediato dello stesso. L’impurità passava attraverso il tocco, lo sguardo e le parole, visto che era inoltre vietato che donne di malaffare parlassero a ragazze morigerate. A Venezia era vietato, alle entreneuse certificate, alcune delle quali evidentemente potevano permettersi della servitù, tenere a servizio donne sotto i trent’anni.

E dei prostituti, si sa nulla?

Qualcosa è giunto fino a noi, e ne parlerò in un articolo dedicato. Vi racconto giusto questa vicenda: nel 1395, a Londra, venne arrestato un certo John Rykener, con l’accusa di essersi abbigliato da donna per adescare clienti. Il verbale dell’interrogatorio è sopravvissuto fino ai nostri giorni. John dichiarò di avere numerosi clienti, maschili e femminili, fra i quali preti, frati e suore. Alcuni forestieri. Di tutti ha trovato più generosi i preti anche se un Francescano gli donò un anello d’oro per una prestazione, immagino fuori dal comune vista la generosità. Purtroppo non sappiamo che fine abbia fatto John. I reati a lui ascritti erano gravi, abbastanza da farlo finire sul rogo, e le possibilità che l’abbia scampata sono davvero poche…

Devo fermarmi, per il momento, consapevole che quello di cui ho scritto è l’equivalente di un bicchiere d’acqua paragonato con l’oceano.