Arriva sempre il momento nella vita in cui deciderai di farti un viaggio con gli amici. Pensi che ti divertirai, che riderai e scoprirai. Bene, a volte, un viaggio può essere terapeutico. E le amiche la medicina.

Una fredda mattina di Febbraio mi sveglio ancora un po’ scossa, il periodo che sto passando non è dei migliori; le rotture amorose, si sa, a volte possono essere davvero traumatiche; ma mi stropiccio gli occhi e mi rendo conto che di lì a poche ore sarei stata in volo. Il che già mi solleva il cuore. Ultime cose nella valigia e via, si parte. Le mie due compagne d’avventura sono cariche ed entusiaste, poco informate su ciò che le aspetta.

Da brava manica del controllo e amante dei viaggi, ho organizzato tutto io, dalla a alla z.

Partiamo dal presupposto che in ogni viaggio c’è sempre quella che parla inglese, quella che ha organizzato tutto e ha tutto sottomano, la fotografa e quella che non sa nemmeno dove si trova, ma è la più simpatica del gruppo; ecco, anche se eravamo solo tre, racchiudevamo tutte queste caratteristiche.

Cominciamo dal fatto che, ogni viaggio ha un suo perché, ed è verissimo che non torni mai nello stesso modo in cui sei partita. Noi per esempio siamo tornati con 2kg in più a testa, una valigia che doveva pesare 10kg e invece ne pesava 13, e tante ma tante risate.

Volo niente male, la temperatura non è neanche sotto lo zero quando arriviamo a Budapest, il che ci rallegra.

Troviamo un servizio taxi che ci accompagna all’appartamento scelto. Arrivate la proprietaria ce lo spiega perfettamente e in inglese; perciò la metà delle informazioni che ci ha dato, se le è portate il vento. L’ appartamento sembrava quello di Barbie, sbriluccicava in ogni dove. Ma era caldo, ben pulito e ottimamente ubicato. Lasciamo velocemente le valigie e giù in strada verso il ponte delle catene, che di sera, tutto illuminato, è spettacolare. Il primo impatto con la città non è dei migliori, la vediamo spoglia e fredda, poco illuminata e senza un carattere particolare. Mentre discutiamo su ciò, improvvisamente si innalza davanti a noi la basilica di Santo Stefano.

È qualcosa di meraviglioso. Grande, imponente e maestosa.

All’uscita i nostri impatti con la città iniziano a cambiare. Dopo la ‘’irrinunciabile’’ visita all’hard rock locale, tra mille chiacchiere e un po’ di parolacce, data la pioggia, eccoci arrivati al ponte. Riusciamo a fare esattamente due foto e la pioggia, sempre più forte, ci intima di tornare a casa. Prima del ritorno, facciamo tappa ad un supermercato: sta sera cuciniamo noi. Il ritorno a casa è tranquillo, a parte il fatto che la busta della spesa si rompe e il portone del palazzo non voleva aprirsi, ma la prendiamo a ridere.

Sveglia ore 7. Si, alle 7 suona, chissà perché noi usciamo per le 10. Ma va bene così, in ogni viaggio c’è la parte relax, e questa era la nostra.

Oggi maciniamo la bellezza di 10 km scarsi perché a me non piacciono i mezzi pubblici. Tra le imprecazioni e google maps vediamo: il parlamento, il bastione dei pescatori, la chiesa di San Matteo, il mercato coperto e un Mcdonald, che è l’ altra cosa che in viaggio non manca mai. Date le lamentele e le minacce della più pigra del gruppo, il pomeriggio lo passiamo in un centro commerciale, dato anche il cattivo tempo. La sera però tutti in un ristorante tipico, dove tra mille risate proviamo i piatti locali. Da brave italiane meridionali, ci tratteniamo a parlare e scherzare al tavolo anche dopo mangiato. Per la prima volta, signori e signore, siamo state sbattute fuori da un ristorante, perché erano le 23 e per loro era già orario di chiusura. Ci ridiamo su e rientriamo.

Il giorno dopo l’ abbiamo dedicato alla visita della sinagoga più grande d’ Europa, niente male davvero.

E poi: piazza degli eroi, e tutti i giardini intorno alle famosissime terme, che dopo un’oretta ci hanno accolto con i loro 30 gradi. Un po’ in stranite nel mettere il costume a Febbraio, impavide ci buttiamo in una nuvola di vapore. La sensazione di rilassamento che si prova è totale: niente problemi, niente angosce e niente tristezze; solo chiacchiere, risate e domande sulla nazionalità dei nostri vicini di seduta, quando affrontavamo discorsi un po’ più intimi. La cosa bella è che all’inizio nemmeno pensavo di potermi divertire e rilassare così tanto. Ma le foto di quella sera parlano chiaro, i sorrisoni erano spontanei e la ”terapia” cominciava a farmi stare meglio. In serata siamo tornati all’ appartamento, e la mattina dopo il taxista ci aspettava sotto casa.

Prima di entrare in aereo, ci siamo scattate una foto: eravamo felici. Felici di essere partite, felici di essere insieme, felici anche di ritornare. Perché il bello dei viaggi è che devi tornare, non scappi da nessuna parte; ti prendi un pausa, scopri una parte di mondo e poi ritorni più carica che mai. La terapia ha funzionato, anche grazie a quelle scalmanate che hanno assecondato ogni mia richiesta. Eppure non hanno imparato la lezione, e fra un po’ si parte in Messico.


Quando un viaggio diventa terapeutico – Di Daniela