Eutanasia: il diritto di scegliere tra vita e morte

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Il diritto di scegliere in alcuni paesi è una realtà. In Belgio, la scorsa settimana, per la prima volta è stata applicata l’eutanasia su un minore di diciotto anni.

Dal 2014, infatti, in Belgio l’età non è più vincolante per un malato terminale. Quindi anche un minorenne, con il consenso dei genitori e il consulto dei medici, può decidere se porre fine alla proprie cure o meno. Questo giovane di cui non conosciamo neanche il nome, avrebbe potuto avere i capelli corti e scuri, occhi chiari e grandi. Avrebbe potuto essere un amante dello sport o della musica. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, ma non lo sappiamo. Di lui, vittima di un fato spietato, conosciamo soltanto l’età. Ed è proprio a quell’età che la maggior parte degli italiani si è attaccata per contrastare ostinatamente questa suddetta pratica.

Di eutanasia si parla spesso e altrettanto spesso in maniera distorta.

Uno degli errori più comuni è associarla al suicidio assistito, trattamento ben diverso che prevede in ogni caso l’ausilio di un medico. Esso avviene in totale autonomia da parte dell’individuo, tramite l’assunzione di apposite sostanze prescritte da un dottore. Nota anche come dolce morte, invece, l’eutanasia è utile per accelerare il decesso di malati incurabili evitando che patiscano terribili sofferenze fisiche e, conseguentemente, anche psichiche.

Essa differisce per tre possibili varianti: eutanasia diretta attiva, indiretta attiva e passiva.

La prima prevede la somministrazione di specifici farmaci che velocizzino la morte del paziente. La seconda presuppone una quantità di medicinali necessari durante la terapia di cura, come antidolorofici, ma in quantità superiori alla norma. La terza, quella passiva, avviene nel momento in cui vengono sospesi i trattamenti e le cure che mantenevano ancora in vita il paziente. Essa quindi contempla l’interruzione dell’accanimento terapeutico.

E’ doveroso puntualizzare che può essere volontaria, come nel caso Welby, quindi una scelta personale, oppure involontaria, quando, nel caso in cui il paziente non si trovi nelle condizioni di poter comprendere e decidere, è indispensabile l’intervento decisionale di altri. Proprio da qui deriva la necessità di introdurre un testamento biologico, in modo da dichiarare preventivamente e liberamente quali assistenze mediche si vorrebbero ricevere in futuro, evitando così che qualcuno possa decidere per noi.

Ad oggi l’unico paese in cui è possibile effettuare l’eutanasia su qualsiasi cittadino, anche al di sotto dei diciotto anni, è proprio il Belgio.

Motivo per cui, in questi giorni, sono stati formulati giudizi affrettati a proposito della morte di un ragazzo di soli diciassette anni, imputando i genitori come dei mostri assassini e ritenendo per l’ennessima volta questa pratica moralmente inaccettabile. Perchè alla fine le cose vanno così: si guarda più alla moralità, come un concetto universale e uguale per tutti, piuttosto che all’utilità e al bisogno concreto di rispettare e accettare le decisioni e i pensieri altrui.

L’eutanasia, così come la morte assistita, è permessa anche in Olanda e in Lussemburgo. La Germania, invece, prevede sono l’eutanasia passiva, che anche in Francia, con la legge Leonetti, è parzialmente accettata.

Essa è poi legale soltanto in Colombia, mentre in alcuni paesi degli stati uniti vige il suicidio assistito.
In Italia, invece, tali processi vengono demonizzati in quanto ritenuti “contro natura” e al pari di un omicidio. Una proposta di legge a riguardo giace in parlamento dal 2013, proposta avanzata proprio da quattro persone affette da SLA e distrofia muscolare, rassegnate alla morte ma non a uno Stato laico che, mascherandosi dietro il diritto di vivere, non vuole tutelare il diritto di morire.

Legiferare l’eutanasia salvaguarderebbe i cittadini, i quali potrebbero scegliere di porre fine a una sofferenza che, loro soltanto, possono valutare tollerabile o meno. Inoltre, si eviterebbero guadagni facili da parte di cliniche clandestine all’estero.

Molti sono contrari a ciò, sia per ovvi motivi legati al credo religioso, sia perchè alcune notizie mirano solamente a disinformare. Si teme, ad esempio, che una legge in Italia possa innalzare il numero di morti all’anno, ma in realtà essa non influirebbe sulla quantità, bensì sui modi.

L’eutanasia dovrebbe quindi essere considerata un vero e proprio trattamento medico di cui si può disporre o meno.

Equivale, insomma, a rispettare pienamente il libero arbitrio di ciascun cittadino, accettando la sua decisione di morire. Scelta, per l’appunto, dettata dal raziocinio e dalla riflessione. Perchè il termine sucidio non deve suscitare scandalo, non deve destare il sospetto che esso sia una folle conseguenza di un attimo di tristezza o di sconforto e debolezza. Forse il problema risiede nel fatto che non siamo abituati a parlare di morte come di qualcosa di assolutamente normale e accettabile, non siamo pronti ad essa e al suo mistero, ma siamo stati cresciuti attraverso messaggi idealizzati e forzati in cui la morte, nella sua accezione più cruda e veritiera, viene addolcita da un ottimismo tipicamente cristiano e veniva caricata di un significato trascendente e salvifico.

Per cui, i doveri morali a cui siamo sottoposti, ci fanno accettare tacitamente che un individuo si tolga la vita nella maniera più terribile possibile, anzichè attraverso una pratica indolore e silenziosa.

La morte, però, è un atto personale, non sociale. Non riguarda tutti, ma singoli elementi. Essa, dunque, non deve essere motivo di turbamento per nessuno.

Perché ignobile non è morire, non è abbandonare la vita se non rispetta le nostre esigenze, se non risponde alle nostre aspirazioni.

Ignobile è non poter scegliere.

Il diritto di scegliere – Floriana Reitano