Su dantepertutti.com del 12.7.2015

Tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai”. Siamo alle prime battute del primo canto dell’Inferno, e il Sommo Poeta si lascia andare a una terribile constatazione. Egli vaga in una selva oscura, fino a che intravede di lontano, tra le brume di una tenue foschia, la sagoma di una collina…

Ma facciamo proseguire lui: “Dopo che fui arrivato alle falde di un colle, nel punto in cui finiva quella selva che mi aveva trafitto il cuore di paura, rivolsi lo sguardo in alto e scorsi i suoi declivi illuminati dai raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. In quel momento la paura, che mi era scesa nei recessi del cuore durante la notte che trascorsi con tanta angoscia, un po’ fu acquietata”.

Paragonandosi a un naufrago che con il respiro affannoso, uscito dal mare e approdato alla spiaggia, si rivolge all’acqua insidiosa e resta a fissarla, Dante si volge spesso indietro a contemplare la selva; e, dopo un breve riposo, riprende il cammino su per un pendio solitario.

A un tratto, quasi all’inizio del declivio”, continua il poeta, “mi apparve una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; e non si allontanava dal mio cospetto, per di più impediva tanto il mio camminare, che mi trovai spesso sul punto d’indietreggiare. Era l’alba, e il sole in Ariete risaliva il cielo con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle; sicché …”