Magie tiburtine: la Rocca Pia

Un castello medievale stupendo chiuso al pubblico. Perché?

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L’altro giorno, durante uno splendido tramonto che solo Tivoli sa regalare, mentre sto tornando a casa dall’ufficio, sento una voce femminile dal tono decisamente addolorato: “Peccato, è chiusa!”. Giro appena lo sguardo e noto due anziani, un uomo e una donna, fermi all’angolo della strada, lei che addita a lui… la Rocca Pia.

Proprio così. È chiusa.

Non è aperta al pubblico una delle meraviglie d’Italia: la Rocca Pia, un castello dalle caratteristiche ancora prettamente medievali, benché edificato al di là dell’abitato e dalla cinta muraria, a partire dal luglio 1461, su iniziativa di Pio II della famiglia Piccolomini, da poco insediatosi sul sacro soglio, e a quella data in visita nella città.
Con la costruzione di questa mastodontica rocca, il pontefice volle porre termine alle ricorrenti scaramucce dei Tiburtini (tra guelfi e ghibellini locali in primis, nonché tra i discendenti dei Colonna e degli Orsini), affermando così il proprio potere sulla città, che dovette dire addio alle sue tradizioni d’indipendenza comunale che durava da secoli.

La fortezza, realizzata in tufo del posto, consta di ben quattro torrioni, di dimensioni diverse e tra di loro unite da elevati muraglioni, che recano in qualche punto spazi per le bocche di fuoco, che da qualche tempo si andavano ad affermare come strumenti di difesa. Le due torri maggiori guardano l’esterno, e le due minori si aprono verso il cortile interno, a controllare sia l’interno del castello che la città.
A ricordare ai posteri, vero e proprio ammonimento, la resa di quella Tibur che perfino Virgilio definì ‘Superba’, svetta la scritta sul portale d’ingresso, recante le insegne dei Piccolomini, posto a nord della costruzione, che recita: “Benvista dai buoni, malvista dai malvagi, nemica ai superbi, eccomi sono qui per te, o Tivoli: poiché volle così Pio”.

Concepita e realizzata per assolvere un ruolo strettamente strategico – militare, la Rocca Pia finì per essere adibita a carcere nell’età napoleonica, funzione che assunse fino al 1960.

E oggi? Non possiamo fare altro che esclamare anche noi: “Peccato, è chiusa!”. C’è bisogno di dire altro?