Ferid Muhic – Autore Macedone

Un paio giorni fa mi presi del tempo libero con l’intenzione di trascorrere l’intera mattinata in lettura. Una volta iniziato il lavoro, spengo il cellulare. Faccio per prenderlo, ce l’ho in mano e squilla. Tutte le volte mi anticipa e comincia a suonare, rispondo:

“Sei a Skopje?” esitai un attimo, poi riconobbi la voce di un mio conoscente, proprietario di un gregge di circa 300 pecore.
“Sì, che c’è!?” naturalmente aveva bisogno di qualcosa. Se non è niente di urgente, taglierò il discorso – pensai.
“Vieni subito!” non mi lasciò neppure il tempo di formulare una qualche scusa relativa al fatto che fossi impegnato. “Al mio casolare invernale, sai, quello sopra la strada per B.”

Addio alla mia lettura mattutina.

Percorsi in meno di mezz’ora una ventina di chilometri di strada maestra, e poi neanche un chilometro di buona strada sterrata fino al casolare. Nella brughiera nera e inzuppata d’acqua, davanti ai battenti aperti dell’ovile invernale costruito con blocchi di mattone, e coperto da un tetto di paglia e di rami di faggio, mi attendevano il mio conoscente e due pastori, visibilmente turbati. Dall’ovile riecheggiava il rabbioso latrato di un intero branco di cani.

“Un lupo! C’è dentro un lupo! Ha fiutato le pecore nell’ovile, è salito sul tetto ed è caduto giù da un buco.”

Sembra che abbia subito capito che non aveva più via d’uscita, dato che è stato sorpreso dai pastori in un angolo, proprio sotto l’apertura da cui è caduto giù. Pensa, si è spaventato così tanto che non ha toccato neppure una pecora. È da questa estate che avevo intenzione di riparare il tetto, ma, guarda, alla fine è stato meglio che non l’abbia fatto…”
Con cautela, di soppiatto, entrammo rapidamente nell’ovile attraverso le porte socchiuse.

Una cinquantina di pecore si erano accalcate nell’angolo più buio dell’ovile.

Dalla parte opposta, alla luce del piovoso cielo mattutino, avvistai lui: con i denti in bella mostra, irsuto, le zampe anteriori vigorosamente irrigidite, come se fosse piantato nel terreno dell’ovile, il lupo! Attorno a lui, a una distanza di cinque-sei passi, una cerchia di cani da pastore in subbuglio. Non appena entrammo, si misero ad abbaiare ancor più ferocemente. Di tanto in tanto, alcuni cani si scagliavano fulmineamente in avanti come per aggredirlo. E ancora più rapidamente indietreggiavano, col pelo irto dalla paura, digrignando i denti, mentre dalle fauci spalancate schizzava bianca schiuma!

“Lo abbiamo sopreso lì. Si era nascosto, e a momenti ci stava per sgusciare via attraverso le gambe quando abbiamo aperto le porte. Non ha ucciso neppure una pecora. Sta pensando soltanto a mettersi in salvo. Si vede che è giovane, ha voglia di vivere!”

Zampe forti, lunghe e massicce, non ancora completamente adulto, propabilmente il lupo aveva all’incirca dieci mesi. Il pelo non aveva ancora subito neppure una volta la muta. Non appena sarebbe cresciuto in tutta la sua altezza, muscoloso, con il collo massiccio, la fronte particolarmente ampia, una costituzione fisica robusta, avrebbe avuto il potenziale, nel pieno delle forze, di diventare nel giro di uno-due anni un rappresentante stupendo ed eccezionalmente forte della sua razza!

“Ci darebbe dei problemi se non lo catturassimo in questo momento! Già il prossimo anno non potrebbero nulla i nostri cani contro di lui. Guarda come lo temono già adesso! Per fortuna nostra, non aspetteranno che diventi ancora più forte. Abbiamo subito avvertito i pastori di portare qui i cani. Guarda, ne abbiamo raccolti 14! Ed ecco, è da un’ora intera che neppure uno osa attaccarlo! Adesso stiamo aspettando che arrivi ‘Belići’: è ai pascoli alti, con gli agnelli. Vedrai che cosa succederà quando arriverà ‘Belići’!”

Di tanto in tanto, nelle pause tra i continui attacchi dei cani, il giovane lupo gettava rapide occhiate al buco nel tetto.

Da lì entrava una luce sfocata ma sempre più luminosa, e con lei entravano anche tutti quegli odori e quelle immagini di salvezza e libertà che il lupo aveva provato e sperimentato nella sua vita, e di cui si ricordava. Suggerii al mio conoscente di dare una possibilità al lupo: era giusto che uscissimo, spalancassimo le porte dietro l’ovile e lasciassimo che fossero i cani e il lupo a risolvere la questione: gli uni – del proprio onore; l’altro – della propria vita! Se il lupo riuscirà ad aprirsi un varco, che viva – gli dissi! Se non avrà successo, tutti ringrazieranno i tuoi cani e parleranno della loro impresa nelle notti invernali, ancora per anni! – tentai di persuaderlo, incitandolo a un atto di cavalleria.

Ma sapevo bene che in quella situazione nessuno dei presenti stava pensando a un simile atto di cavalleria, e ancor meno che fosse corretto fare quanto avevo suggerito.

La proposta rimase non solo del tutto incompresa, ma addirittura non si meritò neppura una parola di spiegazione; fu abbastanza eloquente lo sguardo di beffarda incredulità per il fatto che mi fosse potuta venire in mente una simile sciocchezza! Un’antica tragedia aveva preso il potere e aveva assoggettato alle leggi della sua poetica l’intero accadere! Non c’è scampo alla maledizione! Quando il fato comincia a mettersi al lavoro, non c’è forza che sia in grado di cambiarlo o fermarlo!

Le vampe di verde fosforo che uscivano dagli occhi del lupo audace tennero ancora a distanza la tumultuosa cerchia di cani che schiumavano rabbia in maniera furibonda.

Ciascuno dei 14 cani era più anziano e più grande di questo giovane lupo. Eppure di nuovo, nessuno si arrischiava ad avvicinarsi all’altezza dei suoi canini scoperti, candidi come la neve. Se solo mi fosse venuto in mente di introdurre in questo dramma il principio del Deus ex machina! Se solo, diciamo, mi fossi precipitato a spalancare le porte dell’ovile e, sfruttando la mia autorità e la confusione del mio amico e dei due giovani pastori, le avessi tenute aperte sufficientemente a lungo per offrire al lupo, attratto dalla luce del giorno e dal varco aperto, la possibilità di un ultimo assalto verso la libertà!

Se solo mi fosse venuto in mente ciò, forse avrei potuto tentare.

Ma non mi venne in mente. Guardavo quel dramma come incantato, vinto da una sensazione di ineluttabilità. Mi sembrava come se la sottile membrana invisibile, che ci avvolge mentre la nostra vita scorre con tranquillità e come di consueto, d’un tratto si fosse lacerata, come se in quel mattino nebbioso e piovoso anche sotto i nostri piedi si fosse spaccato un qualche tetto, del tutto simile a quello di paglia e di rami di faggio, e fossimo precipitati giù tutti attraverso quell’apertura – il giovane lupo, i cani pazzi di rabbia e paura, le pecore acquietate, ammassate in un groviglio, il mio conoscente, i due pastori, e io. E come se nessuno di noi potesse più uscire da quell’ovile incantato.

Improvvisamente entrò nell’ovile un cane da pastore con ‘Belići’.

Solo un momento, niente più che il lampo di un istante, entrò, o più esattamente, calò un silenzio grave, più tremendo di quando esplode un fulmine sopra la testa, nel momento in cui “Belići” si fermò impietrito, mentre i suoi occhi si stavano abituando alla penombra dell’ovile, avendo scorto il lupo. Subito dopo, si lanciò come una pietra scagliata o come lama di un’ascia brandita, e con tutta la sua forza piombò dritto sul lupo. Dietro di lui, quasi contemporaneamente, si lanciarono tutti i cani. Un ringhio selvaggio, un guaito, un breve rantolo. Il giovane lupo giaceva sul freddo terreno dell’ovile, letteralmente dilaniato; due cani si leccavano delle profonde ferite sanguinanti sul petto e sul collo, un terzo una zampa anteriore, un quarto il fianco.

Mentre tornavo indietro, sapevo che non avrei fatto nulla della lettura che avevo pianificato.

Né di quella mattutina, né di quella serale. Né di quella odierna, né di quella di domani. Parcheggiai sull’erba accanto al ciglio stradale e scesi dall’auto. Lanciai un’occhiata al cielo. Quando, per un attimo, le nuvole basse e spesse si aprirono, mi parve che sopra la città, nella valle, anzi, sopra il mondo intero si fosse spalancato un buco nella volta celeste, e che per nessuno ci fosse alcuna via di fuga da questo ovile incantato che chiamiamo mondo.

(Traduzione di Stefano Viganò)