Meraviglie tiburtine: la Cascata

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Dalla citazione di Francesco Bulgarini, eminente studioso tiburtino, tratta da una cartolina facente parte della ‘Collezione Bonamoneta sul Gran Tour’, leggiamo:

Terminate le lavorazioni il 6 ottobre 1835, papa Gregorio arrivò a Tivoli (…) ad un suo cenno tuonarono le artiglierie, si schiusero i portoni costruiti per tenere quando occorra in secco i cunicoli, e ne sgorgarono furibonde le acque dalle viscere del monte, formando in tal guisa una caduta artefatta, unica in questo genere nel mondo, alta centodieci e sette metri, ed uno spettacolo mai più veduto. L’operazione forma un ornamento ed è una delle principali opere artistiche dello stato”.

Bene. Ma come e perché scaturì questa mirabile opera d’ingegneria, considerata l’epoca in cui fu realizzata?

Il fiume Aniene, che nasce sui monti Simbruini, a cavallo tra il Lazio e l’Abruzzo, e dopo aver attraversato l’omonima valle raggiunge finalmente Tivoli, per sfociare poi nel Tevere nei pressi di ponte Salario, da sempre si è distinto, diciamo così, per la sua indole un po’ ribelle, risultando, in specie nei periodi di piena, molto pericoloso. Tutto ciò, a partire dall’epoca romana e fino al 1826, quando ebbe a verificarsi il più grave dei ricorrenti allagamenti, con la distruzione di un intero rione.

Così papa Gregorio XVI, colpito da questo evento catastrofico, che provocò morte e rovina, si decise ad espletare una gara pubblica per la deviazione del percorso fluviale. I lavori conseguenti, affidati alle cure dell’Ing. Clemente Foschi, consistettero nella realizzazione di un duplice traforo del monte Catillo, prospiciente la sponda destra del fiume, in modo da convogliare tutte le acque dalla parte opposta rispetto all’alveo naturale.
In tal modo, si modificò tutto il paesaggio circostante; e, come elemento caratterizzante di questa innovazione, s’impose all’attenzione una cascata, d’incanto scomparendo le innumerevoli “cascatelle”, che fino ad allora erano state alimentate dal passaggio del fiume.

L’attuale salto della stessa è di ben 120 metri, e va a confluire nella cd. valle dell’Inferno, situata all’interno di un’area naturalistica che, da quel momento, prese il nome di Villa Gregoriana, in onore del papa. Attualmente la villa fa parte del demanio gestito dal F.A.I., e, pur essendo una delle ‘perle’ che danno vanto alla città, non è ancora sufficientemente fulgida.

Che fare?