La vista che m’apparve d’un leone

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Da dantepertutti.com del 10.8.2015

Un piccolo passo indietro e torniamo nel primo canto dell’Inferno.

Dopo che il Sommo Poeta, attraversata la ‘selva oscura’, che gli ha di paura il cor compunto, ha fatto riposare il suo corpo affaticato – lo vediamo mentre, seduto su di un masso lungo il sentiero, si deterge con la mano il sudore della fronte – riprende a camminare per la piaggia diserta in direzione del colle, i pendii del quale sono illuminati dalla radiosa luce del sole, e quando una lonza che gli è apparsa davanti, quasi al cominciar de l’erta, ha ostacolato non poco la sua andatura, facendogli addirittura ritenere possibile un clamoroso dietro-front, ecco che la comparsa improvvisa di un leone rimette tutto in discussione.

“Temp’era dal principio del mattino ”, racconta il poeta, “e il sole in Ariete risaliva il cielo come nel giorno della Creazione; sicché mi davano motivo di non temere quella bestia dalla pelliccia maculata l’ora mattutina e il tiepido clima primaverile; ma non tanto che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone”.
Questi, materializzatosi dal nulla, pare venirgli incontro con un atteggiamento superbo e famelico, sicché egli ne ricava l’impressione che l’aria attorno ne tremi, al pari di quanto si nota in una torrida giornata d’estate. Lettore, non ti preoccupare per il nostro eroe: egli saprà cavarsela egregiamente… almeno fino al prossimo incontro.