Aminata, l’altra Malala

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Questa storia è quella di Aminata, una delle migliaia di anonime Malala sul nostro pianeta.

Ah! La storia della nostra cara Malala rappresenta tutto ciò che si potrebbe catalogare come “avere un grande destino.” Queste cose non accadono tutti i giorni, sopratutto ad uno qualunque. Devi essere eccezionale per essere tra le altre Malala. I talebani hanno cercato di rubagli la vita, la sua giovane vita. Invece, involontariamente, hanno prodotto un adolescente impegnata e determinata. Infatti, a soli diciassette anni di età, Malala, ha già vinto il premio Nobel per la pace. Premio meritata perché la situazione delle giovani donne in Pakistan ha davvero bisogno di essere trasmessa, di essere messa sotto i riflettori. Vorrei anche aggiungere coòe la condizione in cui vivono le giovani ragazze del Terzo Mondo (si utilizza ancora questo termine?) debba necessariamente essere portata alla ribaltà.

Anche se non tutti subiscono e soffrono necessariamente lo svilimento degli uomini in turbante, bisogna sottolineare come le ragazze al di sotto dei tropici siano vittime di diversi orrori: la massiccia violenza nelle zone di conflitto dei Grandi Laghi, il traffico di bambini tra cui sottolineiamo quello delle ragazze nel Golfo di Guinea, ma soprattutto la negazione del diritto all’istruzione, che in ultima analisi, mantiene le donne in una situazione di dipendenza nei confronti della famiglia e della società.

La donna è imprigionata, inoltre, in un ruolo economico e sociale definito senza la presenza della figura femminile e questo gli impedisce di sviluppare una mente critica necessaria per difendere i propri diritti.

Se non facciamo a meno di stupirci della grande ineguaglianza tra uomo e donna in questi paesi non è nient’altro che dell’ipocrisia.

D’altronde che cosa potremmo offrire alle donne alle quali il diritto all’istruzione, base elementare di ogni sviluppo, è negato?

Malala Yousafzai

Riporto questa citazione del passato sistematica e assai cruda: “Una ragazza a scuola, non concluderà a nulla”. Essa riflette perfettamente il fenomeno di cui stiamo parlando che ha come obiettivo quello di mantenere le ragazze e, per estensione, la donna sotto l’ombrello dell’uomo, che esso sia il padre, il fratello, il marito, il suo compagno. L’egemonia, dunque, ha preso forme al giorno d’oggi abbastanza sottili che si concretizzano nel sovraccarico delle faccende domestiche, nel ritiro dalla scuola, nell”invio all’apprendistato, nelle molestie, mantenendo la prostituzione, i matrimoni precoci o forzati, il bullismo e le altre forme di violenza domestica, l’esposizione volontaria alle malattie, le espropriazioni, il collocamento come domestica tuttofare presso famiglie affidatarie.

Quest’ultimo fatto è molto ricorrente in Africa e in particolare sulla costa occidentale.

Essendo la scolarizzazione obbligatoria fino a sedici anni nella maggior parte degli Stati tra cui il Togo, non è raro vedere molte ragazzine ritirarsi dai banchi di scuola per essere cedute a terze persone che non le conoscono nemmeno e che si rilevano di una malvagità senza precedenti, al limite della perversione. Ma che cosa è questo investimento che invece di generare profitti, quasi certamente compromettere il futuro delle ragazze, portando per la maggior parte dei casi alla perdizione totale? Dove le più fortunate diventano “maîtresses” o l’ennesima moglie di un vecchio poligamo che portano a delle gravidanze indesiderate che spesso nascondono figli illegittimi.

Ma la vita miserabile alla quale è stata destinata, Aminata non l’accettò per niente. All’età di dodici anni, infatti, l’ha fatto sapere al mondo. Non aveva voglia nè di perdizione ne di diventare la prima categoria delle domestiche ne essere vittima di “diverse altre fortune”. Ha saputo con grande finezza e determinazione contrastare il “business indecente”, di fronte al quale si sono trovati i propri genitori, il traffico al quale fu spinta da sua zia, che la prese in braccio nel suo villaggio natale a Kpédomé, nonchè lo sfruttamento abusivo che tramava contro di lei la sua famiglia “adottiva” a Lomé. Ogni volta che questa zia arrivava a Kpédomé, un villaggio di Notsé, località situata a circa 100 Km a nord di Lomé, la gioia per i regali che portava dalla capitale durava pochi istanti.

Iniziava ben presto delle solenni discussioni con i genitori e alla fine, un bambino, o meglio una ragazzina partiva sempre con lei.

Essendo a quel punto l’unica ragazza che era rimasta di una famiglia con diciassette figli, di cui otto ragazze, l’ultima visita al villaggio della zia rese Aminata molto nervosa al punto da essere colpita una febbre molto alta. Questo stato febbrile la salvò perchè la zia ripartì senza di lei. Ma in realtà era solo una tregua perchè non appena si sentì meglio i suoi genitori la spedirono proprio come si fa con una lettera per posta. Si sbarazzarono di lei per la seconda volta, dopo che due anni prima si dovette ritirare dai banchi di scuola con la scusa che per “una ragazza” aveva già frequentato abbastanza corsi. A quell’epoca, all’età di dieci anni, aveva frequentato la seconda elementare. Furono due anni terribili in quanto Aminata era traumatizzata ad osservare i suoi ex compagni andare a scuola.

Al posto di andare tra i banchi come tutti i suoi amici, Aminata scoprì per la prima volta Lomé.

Dopo solo quarantotto ore dal suo sbarco era già stata affidata ad una famiglia che aveva urgente bisogno di una tuttofare. Prendendo questo posto, Aminata si rese conto molto rapidamente che tra le altre cose doveva prendersi cura anche di due bambini che andavano a scuola di cui il più grande era più giovane di lei di due anni.Aminata fece il suo lavoro in silenzio e diligentemente per due settimane prima di decidere di porre le sue nuove condizioni. Chiese ai suoi datori di lavoro di mandarla a scuola. Loro furono sorpresi in un primo tempo ma finirono per cedere all’intransigenza delle piccola ragazza impondendole a sua volta le loro condizioni: Aminata non sarebbe stata più pagata dato che il suo status sarebbe cambiato.

Ma dopo tre giorni, le due parti non arrivarono ad un accordo.

Aminata, infatti, esigeva di continuare ad essere pagata per i lavori domestici che avrebbe continuato a svolgere. La zia, infatti, non perse tempo ed organizzò subito la contromossa. Non trovò migliore argomento se non quello di minacciarla che sarebbe stata inviata da alcuni amici nelle piantagioni di anacardi nel nord del Benin. Apparentemente, la strategia della zia funzionò dato che Aminata ritornà sui suoi passi accettando le nuove condizioni della coppia e riprese i suoi studi. In realtà fu una risposta tattica da parte della giovane ragazza che puntava a preparare in modo migliore la sua fuga. Infatti le sue lezioni di scuola servirono a migliorare la sua conoscenza dei luoghi limitrofi.

Fu in questo modo che scopri l’esistenza, ad un solo kilometro da casa sua, di un centro di cura di “bambini abbandonati” presso le suore della Provvidenza a Adétikopé dove riusci a farsi accettare. Fu ospitata, infatti, dopo che i genitori le diedero il consenso e poté altresì continuare la sua istruzione.

Guardando la determinazione e l’impegno di Aminata, il confronto con Malala è appesa ad un filo.

Ma sono migliaia le ragazze in tutto il mondo lontano dalle luci della ribalta che lottano ogni giorno contro il destino che l’entourage sta cercando di imporre. Non tutte, senza dubbio, avranno lo stesso riconoscimento della loro eroina Malala, ma ricevono attraverso questo articolo il mio vibrante omaggio alla loro dedizione e alla loro audacia sperando che possa ispirare le loro coetanee.

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Robert-Hugues Yaovi Nagbe, è originario del Togo, piccolo ma bellissimo paese in Africa occidentale. Ha fatto il 1 ° e 2 ° grado degli studi di master in sociologia presso l’Università di Lomé, e per più di un decennio si è dedicato al mondo associativo. Gli impegni non l’hanno allontanato dalla sua passione, la scrittura, dato che sognava già da bambino di diventare giornalista. Era la professione che avrebbe soddisfatto le sue aspirazioni. Nobile professione che crea la possibilita diventare un creatore di opinioni. Questo sogno verrà purtroppo infranto perché i suoi genitori non hanno avuto abbastanza soldi per pagare i suoi studi di giornalismo fuori dal Togo. Nonostante questo, ha sempre il piacere di scrivere le sue oppinoni personali e mettere su carta le analisi dei fatti sociali, culturali, tradizionali. Inoltre, è un bravissimo caricaturista, raccontando gli eventi con disegni rappresentativi dei temi attuali. Questa inclinazione naturale tornò a galoppare quando scoprì i social network. Dal 2013 fa parte dalla famiglia di mondoblogueurs RFI .