A casa

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Quarantena nella nostra mente, è una parola che a primo impatto suona tanto simile ad un’altra: Solitudine.

Lontano dagli amici, lontano dai colleghi, dai professori…

Solo noi e la nostra casa.

Quattro mura che se siamo fortunati, avremo il privilegio di condividere con un dono vivante: la nostra famiglia.

Improvvisamente, un rettangolo digitale, da cui già facciamo dipendere ampiamente le nostre vite, diventa indispensabile.

Il cellulare è nostro compagno e diventa, nella quarantena, il tentativo ossessivo di ricreare quella rete sociale, la cui assenza paralizza l’uomo.

Ma l’uomo sarà più solo ora

o nella vita ordinaria?

Mentre cammini per le strade della tua città per raggiungere un luogo essenziale, come l’ufficio, la scuola, il supermercato, la rete sociale c’è, è presente.

Cammini invisibile, immerso in una folla di persone e magari, per caso, incroci volti amici.

Finita la giornata, scandita da ritmi precisi, alla sera torni a casa e consumi un pasto caldo, scambiando quattro chiacchiere vuote con la tua famiglia e soffocando pensieri e angosce.

Ma non è forse questo il vero ritratto della solitudine ?

In quarantena, sei nella tua casa con quei volti di cui avevi dimenticato il nome, sei solo con le tue paure, i tuoi limiti…non puoi più scappare!

E allora finalmente, ti riscopri.

La smetti di fare l’equilibrista, che viaggia spavaldo sulla superficie delle cose.

Ora le chiacchiere vuote son diventati monologhi, serenate d’amore dedicate  a te stesso e ai tuoi cari che solo ora riscopri essere un dono.

Quando Edvard dipinse l’urlo di Munch, in un quadro immortale, ha dipinto la solitudine dell’uomo nella folla, il suo grido di dolore nel silenzio della vita ordinaria…

Sullo sfondo c’è un ponte.

È forse il ponte che dobbiamo percorrere alla scoperta dei veri valori, è forse il ponte che ci porta nell’unico luogo di questa quarantena…a casa.