Avete pensato alla frustrazione come movente dell’abuso di potere, ragione di alcuni degli atti più spregevoli, da quello di minori e sconosciute conseguenze a quello divenuto più noto alla cronaca?
Avete mai pensato, al di là d’ogni ragionata analisi psicologica, di quanto la spiegazione di atti violenti e d’odio sia semplicemente l’odio verso se stessi?
Un poliziotto sottopagato, capace solo di ricevere comandi e di sfogarsi su quelli che crede di poter comandare è solo l’infinitesimale esemplare di essere pietoso che la vita ci dà la spiacevole opportunità di conoscere.
Quando nasci con una divisa o diventi parte di questa, spinto a farlo o apertamente o per disperazione d’altra realtà subita, il mondo diventa governato da una sola regola: rispettare il comando ed impartirne a sua volta uno.
Se l’imposizione è di medio-bassa portata, un orario estenuante nei turni, un collega inefficiente, il figlio discolo a casa subirà le conseguenze di un furto laddove il reato sia un compito malfatto, se quell’imposizione provoca l’assenza in famiglia e lo sfogo piangente e disperato di una moglie in cerca di affetto, l’effetto sarà la mano pesante sul primo delinquentello di strada e, se la situazione si protrae nel tempo e a quella divisa si vede corrisposta una presa in giro dell’operato, vanificato dalla realtà che quotidianamente si ripete, ci scappa il morto non voluto.
Voluto ma non voluto, conseguenza della frustrazione di una vita di valori sbagliati, di relazioni mai instaurate, come se il motore che governa i rapporti fosse un comando, ricevuto e a sua volta dato.
Il brutto del comandare è la sua più diretta conseguenza, chi è comandato, chi è soggiogato dal comando e altro non può fare che dire “Signor sì”, prima o poi, anche se ritiene che il massimo ideale sia quell’arma, a forza di non poter obiettare, non bastandogli più il comando lecito, arriverà alla vessazione.
Una vessazione così irosa, così repressa nel tempo, che da frustrazione si tramuterà in violenza alla prima occasione impensabile, così.
E il motivo che tutti additeranno come il solo, -certo- sacrosanto e lapalissiano, traibile dalle idee politiche espresse e dagli sproloqui che ragionamenti non sono, ebbene quel motivo andrà a nascondere quello più sotteso, quello più comune.
Un abuso di potere alla vita prima ancora che alla persona, figlio di una logica sbagliata nel condurre un’esistenza che non porta a pensare, ma solo ad agire è il suo prodotto.
Un mondo che, concepito solo come bianco o nero -in tutti i sensi-, non vede le sfumature della quotidianità conduce al macroscopico imperdonabile errore.
Si tratta, ebbene sì, di errore, perché chi l’ha commesso errabondo nella sua esistenza vagava alla ricerca di uno sfogo alla sua profonda frustrazione e, incappato nella prima buca, è caduto in fallo.
Misera anima è quella di colui che si può inscrivere all’interno di questa descrizione e che nei cuori di tutti muove rabbia e nei pochi, oltre alla profonda ira, genera pietà.
E magari quella pietà fosse la pietas latina! Al contrario è pietà umiliante, negativa, come oggi noi intendiamo.
Un reflusso di ribellione alla nefandezza del gesto, che presto verrà dimenticato in attesa di un nuovo frustrato, accende la miccia in un’umanità stanca, ma nella mia, oltre a quanto di più cattivo possa generare, lascia solo spazio ad uno sguardo di commiserazione per chi ha donato -scaricandola come in una latrina- la sua unica vita ad una dinamica valoriale sbagliata.