Quando si sente pronunciare il termine “ambientalismo” (così come per tutti gli altri –ismi), molto spesso (ovviamente semplificando al massimo) si incontra una dicotomia di fondo tra chi ne sostiene l’obiettiva necessità e chi ne sottolinea l’inutilità o quanto meno il fastidio generato dal pensiero che venga intaccato il proprio micro-benessere. Le punte estreme in entrambi i casi possono creare delle degenerazioni difficilmente compatibili con il rispetto e la convivenza civile.

Si possono fare molti esempi nel merito, limitiamoci a un paio.

Anni fa qualche stratega dell’ENEL lanciò l’ipotesi di chiudere con una diga l’Alpe Veglia (splendido anfiteatro naturale nel VCO) per creare un invaso che potesse essere utile alla produzione di energia elettrica. Alla fine su forti pressioni di ogni genere il progetto venne congelato, anche se rimane un’idea serpeggiante nella mente di qualche mega-dirigente. Nessuno si permette di contestare progetti che consentono di aumentare la disponibilità energetica in un sistema altamente tecnologico quale il nostro ma non si può stravolgere in maniera insensata l’ecosistema deturpando le bellezze naturali del nostro territorio.

Un processo analogo ma di segno contrario è rappresentato dall’estenuante difesa dell’isolotto sulla Sesia, venutosi a creare nel corso degli anni per trasporto di detriti di varia natura tra Prato e Romagnano Sesia (provincia di Novara), con la giustificazione che rappresenta un habitat naturale per la fauna insediatavi. La decisione, a titolo di cronaca, è di pertinenza del Magistrato delle Acque, che governa l’intero bacino fluviale padano.
La Sesia è a carattere torrentizio per cui, in casi di piogge prolungate, si origina una piena (la “büra” in dialetto) che nell’incontrare ostacoli nel suo defluire verso il Po determina esondazioni con esiti disastrosi sull’ambiente circostante.

Ne consegue la necessità di un ambientalismo maggiormente orientato allo scientifico più che al mistico.

Occorre in altre parole analizzare e canalizzare le necessità evidenti sull’assetto idro-geologico, sulla qualità dell’aria, sull’effetto serra, sulla gestione razionale dei rifiuti inquadrandoli nell’ambito risorse e così via.
Ovviamente la presenza di personaggi come Bolsonaro che sta distruggendo il polmone verde del pianeta e Trump che sta ipotizzando la trivellazione dell’Alaska. distruggendo foreste primordiali, non dovrebbe essere contemplata da nessun modello esistenziale.
Bisogna considerare anche i dubbi (la scienza ne è piena) e le possibili obiezioni che si possono incontrare lungo il percorso della salvaguardia dell’ambiente.

Chi è razionale dovrebbe avere inoltre il coraggio di fare una critica ambivalente e quindi anche nei confronti di schemi collaudati che potrebbero comunque spingerlo a forme devianti dal proprio immaginario o, quantomeno pensato, sistema naturalistico.
Altrimenti si finisce col cadere in quei concetti tendenti a beatificare Madre Natura tanto da renderla dotata di intenzioni e sentimenti quasi antropomorfi. Il Covid-19, ad esempio, è diretta conseguenza di una vendetta della Terra perché sistematicamente violentata dall’invadenza umana.

Non a caso nella concezione religiosa le catastrofi naturali sono viste come una punizione di Dio.

Queste forme, più o meno apocalittiche, tendono a presupporre il ritorno del peccato originale con lo schema della cacciata (distruzione) della creatura che si è ribellata al suo creatore e si è appropriata di prerogative non consone al suo status di umano e non divino.
Dunque il nemico sarebbe la pretesa dell’autodeterminazione secondo concetti illuministici, avversati ovviamente dal falso ambientalismo mistico, apocalittico e/o consolatorio.


Parliamo di ambientalismo

Articolo di Gianni Martinetti