Anselmo era un ragazzino timido, chiuso a chiave nella sua mente e nella sua intelligenza sconfinata. Oggi lo etichetterebbero come disadattato o con quel termine antipatico, autistico. All’epoca quindi qualcuno lo definiva depresso e anche ritardato. Lui era solo introverso e schivo, troppo introverso e troppo schivo per reagire. Caduto, o meglio lanciato dai genitori, nella rete di medicine alternative e medici sperimentatori in cerca di cavie. Dottori propensi a cure elettriche, ancora primordiali, per qualsiasi forma di problema mentale. Anche quando il problema non sussisteva per nulla. Gli fusero il cervello. In realtà non fecero altro che schermarlo ancora di più dal mondo esterno. Lo isolarono. Come l’amianto isola il calore, come la ceramica isola la tensione. Come un trattamento di elettroshock isola dalla concretezza.

Ma non lo ridussero in un ammasso di cellule senza senso.

Anselmo aveva un sogno, ha un sogno, che non ha mai esaudito ma alimentato per sempre. Viaggiare nello spazio o magari andare sulla luna. Sapeva che non avrebbe mai potuto realizzare un razzo ultrasonico o una nave intergalattica, come progettava, ma andava bene uscire dall’atmosfera per guardare tutti da lassù, dove solo in pochi, nel tempo, avrebbero potuto fare. Infondo nello spazio si era soli, un po’ come nella sua mente.

Per farlo, per diventare un astronauta, ci volevano pochi requisiti: essere un fottuto yankee – o un comunista russo, avere un’intelligenza oltre il comune (quindi perfettamente nel suo standard), essere quasi indistruttibile (e magari con dei denti bianchissimi) e soprattutto essere in grado di volare con un aereo. Lui che era nato nel 1955, vissuto nei meravigliosi anni dei viaggi e delle missioni lunari, non possedeva la maggior parte di quei titoli. Era di Malalbergo, uno sperduto paese rosso della Bassa Bolognese nemmeno segnato sulle mappe, lo credevano un demente e pappamolle – specie i bulli del paese, aveva quattordici anni quando Armstrong posò il piede sul suolo lunare e aveva tre carie in un solo molare.

E poi al massimo si era lanciato con la bicicletta dalla riva del Reno per provare l’ebrezza del volo.

La sfida “USA vs CCCP”. I fallimenti, le esplosioni e i pochi successi, erano il pane quotidiano delle sue brame in quei meravigliosi sixties fatti di lanci e conti alla rovescia; di “mayday” e di “Houston abbiamo un problema”. Con il grembiulino blu e la cartella di cartone, disteso ore e ore nel verde dei prati nascosto alla vista delle malelingue paesane, con un sacchetto sotto le terga per non bagnarsi i pantaloni. Testa verso l’alto a sorvegliare il cielo. Sognava di guidare un Apollo o un modulo lunare. Sognare, non costava nulla, molto meno che pagare i libri per il liceo. Poteva sognare le galassie e gli alieni, la velocità della luce e gli asteroidi. E poi c’era Asimov, letto di nascosto; rubato, con buona pace del settimo comandamento, nell’unica libreria nel raggio di venti chilometri.

Dopo i trattamenti, la sua mente era affamata di parole. Come se un buco nero enorme cercasse storie fantastiche con cui alimentare la fame di esplorazioni spaziali e di astronavi a propulsione atomica.

La corsa allo spazio pian piano si è spenta. Come in un lento blackout. Spese enormi e poco profitto hanno fatto aumentare la distanza della terra dalla Luna e da ogni altro oggetto sopra le teste degli umani, proprio negli anni in cui Anselmo lasciava la scuola. Fu così che iniziò a fare qualsiasi mestiere, sempre con il massimo profitto. Il becchino, non è dei morti che devi avere paura, raccontava a se stesso per farsi coraggio. Il netturbino per vivere la notte e godersi la volta illuminata dagli astri e dal satellite della Terra. L’allevatore di lumache, quando è saltata fuori la moda della bava e l’ammazzaratti prima delle disinfestazioni e delle trappole a buon mercato.

Nella bettola lasciatagli dai genitori, ha costruì un planetario e un telescopio mentre nella buchetta della posta arrivava il diploma di elettrotecnico conseguito con scuola Radio Elettra e il massimo dei voti. Imparò a cucinare gli scarti e a costruirsi un baldacchino per parlare con i camionisti fingendosi un addetto della sala di comando nello Space Center a Orlando. Era il 1986, l’anno del perielio della cometa di Halley e di Cernobyl. Tutto questo mentre il mondo accelerava e rallentava a fasi alterne, tra nuove monete e vecchi problemi atomici e si avviava nel duemila. Il nuovo millennio, quello dell’esplosione.

Oggi, quasi mezzo secolo dopo, in cielo i satelliti artificiali cinesi rubano la scena alle stelle e alle strisce della bandiera Usa. Anselmo vende la frutta a chilometro zero, porta a porta nel quartiere Porto a Bologna. Non ha bisogno di calcolatrici o di prendere appunti. Ricorda tutto a memoria, ordini, clienti e prezzo al chilogrammo di ogni singolo ortaggio. E non sbaglia un colpo, quel sessantacinquenne, silenzioso puntuale e preciso.

Anselmo sa che stasera Marte, nella sua orbita più vicina alla terra, sarà visibile a Est. E non solo. Perché Sole, Terra e Luna si allineeranno in un’eclissi quasi perfetta. Quasi, non del tutto. Nonostante questa ‘non perfezione’ l’evento è stato chiamato dai mass media “la Grande Eclissi Totale del Secolo”. I lampioni per una volta si spegneranno alle ventuno. Ci saranno decine di finti astrofili improvvisati, con la testa rivolta verso l’alto a guardare la grande palla rossa fare il su spettacolo in cielo.

Lui aveva calcolato questa data sul suo calendario perpetuo delle eclissi. E adesso spera nel bel tempo serale.

Arriva nel parco con il suo nuovo cannocchiale, rigorosamente sovietico, marchiato URSS, lucente e performante, capace di scrutare ben oltre i palazzoni grigi del boom industriale. Di solito, le luci del quartiere coprono le stelle fino a tarda sera. Di solito, deve aspettare la notte, quella vera, quella che va dalle due alle cinque, quando il cielo diventa una mappa e lui continua a sognare il conto alla rovescia. Non stanotte per l’evento eccezionale. Durerà centotre minuti. Quasi il massimo teorico che è di centosette. Quasi il massimo, l’eclissi del secolo.

Ci sono troppi ragazzini e troppe parole. E anche troppe nuvole, un imprevisto non calcolabile. Sono il guasto che nessuno si aspettava nella mente di Arturo, nella centrale in Ucraina e sullo Shuttle Challenger nell’86 a pochi attimi dalla partenza. L’incognita in più in un sistema di equazioni. Il cromosoma di troppo. Il milliampere superfluo che in certe condizioni ti ammazza.

Quando capiterà di nuovo? E se non fosse visibile dall’Italia? Inizia un complesso calcolo per ritrovare nella sua mente la nuova data per l’ennesima luna rossa e l’ennesima eclissi del secolo che con buona probabilità non potrà godersi. Intanto si avvicina un ragazzino che lo distrae. Deve ricominciare a calcolare ma non riesce concentrarsi. Ha bisogno di tre minuti tre di silenzio assoluto. Prova a tapparsi le orecchie. Viene fuori una cifra esorbitante di anni, è sconcertato sa che è esatta ma non riesce a metterla a fuoco.

Potrà avere otto, al massimo dieci anni. Indossa la felpa dell’istituto scolastico gestito dalle suore e un pantalone di velluto. Fa un gesto gentile, senza parlare gli chiede di poter guardare nel suo cannocchiale. Porta occhiali spessi un dito e l’apparecchio per i denti. Resta lì per un tempo indefinito in silenzio, a scrutare l’orizzonte avvolto dalle nubi. Poi gli rivolge la parola.

“Ci vorranno circa venticinquemila anni.”

“Come lo sai?”

“Io viaggio nel tempo e nello spazio.”

“Tu non viaggi nel tempo né tantomeno nello spazio. Lo avrai sentito al telegiornale.”

“E l’ho calcolato. La prossima totale e visibile dall’Italia sarà nel 2020 ma non sarà così imponente. Non stavi calcolando proprio questo? Peccato che Marte non ci sarà! Dovrai aspettare un bel po’ oppure venire con me. Sai nello spazio ci sono molti punti di vista.”.

“Quindi sei un dannato nerd. Vi chiamano così, giusto? Beh sappi che anche io non sono da meno.”

“Chiamami come vuoi. E credimi! Sono venuto per salvarti.”

“Salvarmi?”

“Sei uno dei meritevoli. Sei nel progetto Asimov. Abbiamo sviluppato il viaggio nel tempo e nello spazio. Con il corpo o anche solo con la mente!”

“Ma cosa stai dicendo cinno! Perché perdo tempo e a parlare con te? Devo trovare un posto dove poter guardare l’eclissi senza le nuvole, ho ancora oltre mezzora.”

“Anselmo, da Malalbergo, classe 1955; non mandasti un curriculum alla NASA con tanto di foto? Eri troppo piccolo nel 1969. E poi ti avrebbero comunque scartato, avevi tre carie e non parlavi inglese, anche se lo capivi. Adesso hai una protesi e due impianti in bocca ma per i nostri scopi non importa. E già, hai imparato il russo, l’inglese e un po’ di cinese con le tue capacità mnemoniche. E poi c’è la cicatrice sul gomito destro. Te la sei procurata cadendo dal tetto del pollaio di tuo zio, la notte di San Lorenzo.”

Una voce in lontananza lo chiama. La sua Mamma.

“Anselmo, Anselmo, andiamo dai che non si vede nulla. Ti faccio guardare un video da Youtube sul tablet…”

Gli tende la mano.

“Non fermarti alle apparenze. Partiamo dopodomani. Fatti trovare qui alle 02.27. Non un minuto dopo. Te lo ripeto, sei stato fortunato, sarai tra quelli che si salveranno.”

Si allontana, ma prima gli mostra un’identica cicatrice sul gomito del braccio destro. Poi va via, portandosi dietro le parole che pronunciate con la voce di un bimbetto sembravano senza senso. Anselmo, il sessantacinquenne con la stessa cicatrice gli urla dietro.

“Aspetta ma… da cosa dovremmo salvarci…?”

Lui si volta si avvicina di nuovo, a meno di un metro di distanza e gli sussurra.

“Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.”