Atena


Lei e una fotografia.
Distesa la sera sul divano
Sguaiata come mai
la osserva
le fossette sulle guance accennate.
Lei e lui.
Ama l’arte.
Catturare i momenti, quelli intrisi di emozione.
In quella che stringe tra i due polpastrelli vi è un mostruoso essere.
Piccino.

La riconosce.

Pensa al mischiarsi dell’onda.
Con sabbia e detriti.
Distrattamente. Senza saper reagire.
Senza ricordare come o dove.
Momento deviante.
Melanconico.
Ricordare orari o luoghi.
Impensabile.
I loro corpi, energia cinetica senza flusso.
Le loro menti, opposizione determinata da un qualunque saluto.
Le abitudini giornaliere non vogliono cambiare.
Non servono più.

Tardo richiamo.

Sereno veliero senza mappa.
Drenaggio linfatico dell’io poetico.
Liquefarsi freneticamente.
Farneticazione delirante tra gli emisferi.
Sano e compromesso.
Lei corre sempre, uscita dal lavoro
per prendere il primo bus e arrivare prima a casa.
Lui esce dall’ufficio passeggiando, non l’ho mai visto affrettarsi.
Lei, tutta sudata e scompigliata. Forse corre per non essere riconosciuta.
Lui, composto, domina una propria sicurezza fieramente. Mai l’ho visto piegarsi dinanzi al dolore.

Sorride sempre quando si osservano.

Si incontrano il pomeriggio, durante il suo soliloquio.
Muro che divide la regia dalla solitudine esente da ogni compito teatrale.
Tremare.
Vorticosamente.
Solo la mattina si può.
Lui davanti al suo caffè, fiero del bambino che è stato.
Lei trafelata e con le gambe ormai in braccio bofonchia e inizia ad affannarsi, sempre più.
Il bus dovrebbe arrivare a breve. Concede al suo corpo una tregua. Due minuti di panchina. L’ha promesso. Solo due. I restanti minuti di attesa li passerà in piedi, aspettando come da anni è solita fare. Lasciando il posto alle vecchiette, con gli occhi piccoli piccoli. Lei ci vede attraverso.

Lui passeggia mangiucchiandosi le unghie per il nervosismo.

Mischiarsi distrattamente.
Cambiare punto gerarchico.
Iniziare alla rovescia.
Mi accontento di chiedere loro questo.
Lei nei panni di lui.
Lui nei panni di lei.
Per urtare la parola che si nasconde tra i loro cappotti, sotto le camicette ordinate nell’armadio e ben piegate e stirate, odorano da anni di lavanda, stesso aroma e nelle lenzuola di lei si ritrova lo stesso frutto d’amore, raccolto durante il primo bacio in tenera età di Nessuno.

Trova illecito ripetere il gesto. Se n’è accorta. L’odore. Finge di non sentirlo. Finge di non pensare continuamente a quell’essenza.

Lei scappa, fugge dall’intensità del ricordo. La insegue da anni.
Lui passeggia e crede di non pensare a nulla.
Estrae dalla tasca la solita compagna, una canna.
Lei sta correndo nuovamente. Mi racconta il diario che trovai nel bosco. Potrebbe essere la sua mente. Vomitata su di un foglio già macchiato dal sudore del ragazzo mai frenetico.
Lui e la sua pace. Canna. Non quella della pistola.
Lei e la sua pace. Un foglio. Tutto bianco e da scrivere. Lui e la sua pace. Leggere. Lei e la sua pace. Disegnare . Frutti dimenticati dal giusto mezzo aristotelico. Nel giardino dell’Eden.
Piangono. Vomitano. Gettano ricordi. Si stringono. Come ancore. Si gettano nell’oceano e ridono come matti, contro le tempeste che verrano impetuose mentre loro se ne fregheranno e continuano a raccontarci la vera storia d’amore fra il mare e due esseri generati da Nettuno.


Atena – Testo di Arianna Morelli