«Lei dice nel suo libro che in Sicilia
si muore perché si è soli.
Giacché Lei fortunatamente è ancora con noi,
chi la protegge?»
«Questo significa
che per essere credibili
bisogna essere ammazzati
in questo paese?»
«No, non volevo dire questo»
«Questo è il paese
in cui se ti si pone una bomba sotto casa
e la bomba per fortuna
non esplode,
la colpa è tua
che non l’hai fatta esplodere».
– Intervista a Giovanni Falcone 12 gennaio 1992 –
Buongiorno Italia, Buongiorno Maria
di La Ribellula
Si è svolto oggi a Milano, presso la chiesa di Sant’Alessandro, il funerale di Maria, la ragazza di trent’anni assassinata lunedì scorso dal suo convivente, un uomo di trenta cinque anni, con il quale la vittima conviveva nello stesso appartamento da più di tre anni.
Gli inquirenti indagano sul movente del folle gesto dell’uomo del quale si dirà: “Salutava sempre”, “Era una persona insospettabile”, “Un così bravo ragazzo”.
Queste sarebbero state le parole che avremmo letto in un consueto mattino, sfogliando il giornale dentro un bar mentre sorseggiamo il nostro caffè; o avremmo ascoltato comodamente riuniti a tavola con la famiglia e chiediamo a nostro figlio di passarci gentilmente il sale mentre lui è intento a raccontarci la sua giornata a scuola. Poi Maria sarebbe stata presto dimenticata da molti per sommarsi ai nomi senza volto e ai volti senza nome di altre donne, di altre Maria che, come lei, muoiono. Muoiono per mano di chi conoscevano bene, troppo bene.
Mentre io scrivo e voi leggete, almeno una donna è stata insultata, umiliata, schernita, molestata, derisa, uccisa.
E tutto continua a scorrere perché in fondo l’apprezzamento a sfondo sessuale è socialmente accettabile, l’insulto più comunemente diffuso ha un retaggio storico e culturale così ben radicato che è diventato un intercalare, la pacca sulla natica è considerata divertente, lo spintone non è mica un atto violento, e lo schiaffo, in fondo se lo meritava, lei come si vestiva per provocare quella reazione nel suo compagno? Cosa faceva per scatenare la sua rabbia?
E Maria subisce un abuso dopo l’altro. Mentre tutto scorre.
Sui numeri, sui moventi, si è scritto tanto. Si è scritto troppo. Si legge troppo.
Spesso pensiamo che le cose si conoscano solo nel momento in cui esse hanno un nome: femminicidio, violenza, abuso, o se associamo a queste parole, dei numeri: 114 vittime nel 2012, 120 nel 2016, come se il dolore, si potesse spiegare, quantificare, capire, conoscere, giustificare.
Ma il dolore non si può scrivere. Raccontare non basta ad alleviare quelle insanabili ferite, non ci sono abbastanza piastrine per formare una cicatrice e magari valorizzarla col tempo, vestendoci di affascinanti teorie orientali che non ci appartengono, nemmeno con tutta la logica filosofica e la misericordia di questo mondo.
Non si proverebbe nessun orgoglio a mostrarle ecco perché restano sempre aperte.
Ma io non voglio scrivere quello che già si sa, voglio scrivere quello che non si sa. Quello che succede a tutte le Maria che sopravvivono ad un’aggressione, ad uno scatto d’ira, ad un raptus di follia e che per amore, per paura, per mille motivi non denunciano; ma voglio anche scrivere che quando le nostre amiche, sorelle, mamme, cugine, colleghe Maria si fissano allo specchio e sistemandosi i capelli decidono di denunciare, la loro lotta non è appena cominciata ma è finita, quello appena cominciato, è il loro calvario.
Voglio scrivere che se Maria riceve uno schiaffo, o due o tre dal proprio compagno, Maria ha ricevuto quelle che si considerano “lesioni lievissime”. Caso archiviato.
Voglio scrivere che se Maria riceve uno spintone, un pugno, due o tre e vede le stelle da un occhio e ha vari segni sul corpo e li mostrerà si sentirà dire: «Sì vabbè! Quante storie per quattro lividi!». Caso archiviato.
Voglio scrivere che se Maria ha il coraggio di chiamare i carabinieri, questi li diranno: «Tornate insieme, non essere precipitosa, la notte porta consiglio!». Caso archiviato.
Voglio scrivere che se Maria convive col suo compagno e il figlio di lui e c’è un affidamento in corso, Maria si sentirà dire, ripetere come un mantra dalle esperte- avvocato e psicologa di parte, a conoscenza dei fatti: «Non sei sola! Testimonia dei progressi che il bambino ha avuto a casa dal padre, seguito da te, poi fai fare a noi! Ricordati che non sei sola!» E quando Maria si fiderà, le esperte davanti al giudice, diranno che non hanno nulla da aggiungere, Maria è stata un’ottima educatrice per il figlio di lui, il suo lavoro è finito. Addio. Caso archiviato.
Voglio scrivere che quando Maria si rivolgerà finalmente ad un avvocato che ha anche fondato il centro antiviolenza della sua città, questa le dirà: «D’altronde, l’ospedale ti ha dato dieci giorni di malattia, se tu sei andata al lavoro vuol dire che tanto male non stavi. Archiviamo casi anche più gravi del tuo. Sai?». Caso archiviato.
Voglio scrivere che se allora Maria, si rivolge ad un altro avvocato che l’ascolta pazientemente con un sospiro carico di pesantezza trasmessa forse, -pensa Maria-, dai suoi racconti, alla fine le ricorda: «In fondo con lui ci stavi te, mica io!». Caso archiviato.
Voglio scrivere che se quando Maria riuscirà a parlarne con la madre di lui, una donna come lei, si sentirà dire: «Non raccontare in giro la vera ragione per cui vi siete lasciati, perché sennò-pare- brutto!»
Voglio scrivere che è più accettabile passare per la rompiscatole-gelosa che non per quella che ha smascherato i tradimenti e allora, si merita le botte. Questo sì, da una società narcisista, è più socialmente accettabile.
Voglio dire a Maria che se parla con i suoi amici, le rinfrescheranno la memoria dicendole: «Hai perso degli anni di vita che non torneranno mai più. Mai più», ripetono, nel caso Maria non avesse afferrato il concetto-lezione di vita. Ancora Maria si sentirà dire: «Adesso pensa a stare bene, non fare la vittima!». E ripensa al mantra: «Non sei sola. Non sei sola».
No. Hanno ragione, Maria non è sola, è solissima.
Maria si ricorda degli episodi che hanno creato la sua dipendenza affettiva dal turpe, a tutte le volte che con ingenuità si è rivolta verso se stessa e con una risata si è detta: «Faccio schifo!» e ha imparato che bisogna essere gentili con se stesse, partendo dalle parole, sempre; ha imparato ad assumersi le proprie responsabilità a dire: «Ho sbagliato, ho imparato, ho vissuto», pensa anche che tutti gli uomini sono uguali, che la sua vita non ha più senso ma poi, in una foto, in uno spazio pubblicitario riscopre altri Uomini. L
e ricordano che esiste ancora una speranza, quella di lasciare una goccia di splendore all’insensato senso della vita, intravede di Giovanni Falcone che in una intervista dichiarò: «Questo (l’Italia) è il paese in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la colpa è tua che non l’hai fatta esplodere».
Maria è in macchina, sta ascoltando il notiziario alla radio: “Si è svolto oggi a Milano, presso la chiesa di Sant’Alessandro, il funerale di Maria…” …e pensa che forse la morte sarebbe stata un sollievo, si ferma allo stop, si dà una veloce occhiata allo specchietto. Ma Giovanni Falcone ha anche detto: «Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare”. Si sente viva.
Se oggi Maria sei ancora qui, ti voglio dire: anche se ti hanno detto di non fare la vittima, ti voglio dire che non sei una vittima, sei una sopravvissuta! Maria la tua storia, è anche la mia! Brilla per te stessa nella più fredda giornata d’inverno, e brilla nella notte più buia, per il tuo satellite.
A te Maria che non sei sola. Sei SOLE. Riscalda e illumina la tua vita.
Buongiorno Italia, Buongiorno Maria.
La Ribellula