Cara me,

Una battaglia sfiancante per rompere la barriera della sopravvivenza e tornare a scendere di peso, fino a sentirsi leggera, trasparente, come mi sono sempre sentita con chiunque, fino a non esistere più.

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Cara me,

oggi è stata una giornata faticosa, ma mi sento energica, penso che potrei spaccare il mondo. Sto insegnando in una cooperativa, ad un corso di operatori socio sanitari, una collega mi ha detto che somiglio ad una modella inglese.

Magari fosse!

Io mi sento grassa, gonfia e goffa, anche se sono alta un metro e settantacinque e porto la taglia 38. Ho una fame pazzesca, e visto che a pranzo ho mangiato una mela, stasera mi concederò una cena decente. Arrivo trafelata a casa, entro, mi levo il cappotto, mi metto comoda e mi dirigo in cucina. Prendo un piatto, metto la pentola dell’acqua sul gas, prendo la pasta cruda e la verso nel piatto. Non è molta, è la quantità giusta. Non è tanta, ma poi arrivi tu, puntuale come sempre e quel piatto mi pare una enormità e così comincio a sottrarre rigatoni. Ne levo ancora un po’, fino a che resta tanta pasta quanta ne potrebbe entrare in un bicchiere d’acqua medio, non colmo, ovviamente.

Mentre attendo che l’acqua bolla, mi dirigo in sala da pranzo per preparare la tavola e arrivi tu! Di nuovo, e mi indichi la bilancia. Non ho neanche assaggiato un boccone che già mi sento in colpa.

Cominci a ripetere di salire sopra per pesarmi, non vorrei, non ne ho motivo, ma tu insisti e io non so resisterti ed eseguo i tuoi ordini. I miei comandamenti. Oggi è andata bene, ma se solo avessi visto quell’orribile ago spingersi un grammo avanti, sarebbe stata una vera tragedia: una sassaiola di accuse e improperi davanti allo specchio. Sì, è andata bene, suppongo, ma tu sei qui e mi guardi divertita, come a dire: “Il problema non è che l’ago non salga, ma che non scenda…”. Giusto!, dopo la discesa libera, il peso si è stabilizzato e non perdo più un grammo. E’ come se il mio corpo si proteggesse ed assimilasse qualsiasi cosa pur di non morire di fame, e questo rende la mia dieta ancora più rigida.

Una battaglia sfiancante per rompere la barriera della sopravvivenza e tornare a scendere di peso, fino a sentirsi leggera, trasparente, come mi sono sempre sentita con chiunque, fino a non esistere più.

Invisibile. Vuota. Il problema, penso, mentre butto la pasta nell’acqua che bolle, è il controllo sul cibo, su questa enorme fame d’amore mai saziata, è l’abilità di spostare l’attenzione da tutto quanto non so cambiare, con la tenacia dei santi, per sentirmi finalmente altare di questo spazio sacro di carne, sangue ed ossa. L’ago non scende, ho dieci minuti di tempo per scolare la pasta e allora salgo sullo step e inizio la mia ginnastica. Mi gira la testa, mi sento debole, ma è come una sfida e so che devo resistere! Resisto e non penso più a mio padre che quando ero piccola mi ha ferita con il suo suicidio.

Lotto… e il dolore di avere un rapporto flaccido con mia madre, quasi quasi mi abbandona.

Resisto, ma penso continuamente al cibo, ho fame, ma arrivi tu e mi ammonisci che un minuto di quella merda in bocca significa averla tutta la vita sui fianchi ed io non voglio essere brutta e grassa, io voglio piacere a mio padre, a mia madre e a tutti quegli uomini che mi hanno sottovalutata, svalorizzata e infine lasciata, facendomi sentire sbagliata. Uno scarabocchio della natura. Quindi, resisto. La pasta è cotta, la metto nel piatto, lo porto a tavola. Ho una fame che non ci vedo, do una bella forchettata, è un bel boccone succulento di semplice pasta con olio, senza sale né parmigiano, ma poi arrivi tu e allora la mano si accascia sconfitta. Comincio a giocherellare con il piatto, prendo un rigatone, lo rimetto giù, lo sminuzzo, lo opero… guardo il piatto e lui guarda me, prendo un pezzetto di pasta, la metto in bocca, e mi sembra di sbranare un bue, mastico a lungo, molto a lungo, anche se ho ben poco da macinare.

Da quando ho iniziato questa dieta i miei denti sono fragili e si spezzano facilmente. Perdo i capelli.

Quando mi gratto, la pelle fiorisce di grossi ematomi che sembrano fiori lividi. Sto cadendo a pezzi, lo so, ma tu, cara me, sei convinta di essere al top! Tu pensi che guardare quello scheletro allo specchio non sia impressionante. No, tu neanche le vedi le ossa che sporgono dal torace come le spine arcuate di una rosa, tu sei così folle da vederti grassa e vuoi essere bella e magra e invece mi stai solo uccidendo. Sì, sei il mio cecchino, ma io sono debole e non so contrastarti e così poso la forchetta e bevo tanta acqua, poi vado in bagno e non ho neanche bisogno di infilarmi le dita in gola che rimetto… acqua e qualche pezzetto di pasta galleggiano come naufraghi nel WC, ma non sono contenta, vado davanti allo specchio e mi guardo, come se ingrassare fosse una schioppettata, come se un rigatone diviso in quattro potesse ingrassare!

Questo è folle, ma non posso farne a meno.

Salgo di nuovo sullo step e stavolta ci sto mezz’ora, quaranta minuti, forse di più. Più smaltisco è meglio è. Anche se non ho niente da bruciare. Cara me, questo è stata la mia normalità per moltissimo tempo, fino a quando non ho scelto di cambiare, perché tutte le cazzate che mi raccontavi non erano vere, nessuno ama un fantasma e la morte non è attraente. Così ho preso questa mia fragilità e l’ho affrontata come fanno i guerrieri. Con le fiamme negli occhi ed i segni di guerra sul viso, giorno dopo giorno, ho combattuto e, anche se non ho ancora vinto, perché non si vince mai, ho smesso di ascoltare la paura. Cara altra me, ti vedo sempre meno ultimamente, sei come uno spettro in lontananza, il vagheggiamento dell’isola “che non c’è”… Il miraggio che non consola più!

Oggi mi accarezzo, non sempre compiaciuta del mio aspetto, ma sono ancora viva e la carne che fiorisce dalle spine coriacee delle mie ossa, è una rosa sinuosa.