Case editrici: sveglia!

I pensieri arrabbiati di una scrittrice-lettrice

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Vorrei capire perché i signori che si sono occupati della campagna dei braccialetti Pandora sono venuti a prendermi a casa, con tanto di limousine, e mai nessun signore o nessuna signora di una qualsiasi casa editrice si sia mai sforzato di mandarmi una sola cartolina dal suo luogo di ridente villeggiatura. Vorrei capire perché, diciamo negli ultimi cinque anni, non ho mai avuto l’intenzione di entrare in una gioielleria (o di farci entrare qualcun altro per me) per acquistare uno di questi gioielli semi preziosi, eppure conosco quasi tutte le fogge del ciondolame da questo brand proposto.

Li ho visti ovunque.

Sulla carta patinata, nei negozi più assortiti, nella mia casella di posta elettronica, ai polsi delle donzelle più in voga, e certo, ai polsi di un sacco, di un sacco di donne. Perché i signori di Pandora hanno fatto centro.

Avevano per le mani un bracciale come tanti e ne hanno fatto un oggetto del desiderio.

Ora, qualcuno mi spiega perché, sempre prendendo come riferimento i miei ultimi cinque anni, pur avendo dato seguito decine di volte all’intenzione di voler leggere un nuovo libro (non posso scriver di più, avendo messo al mondo, in questo lasso di tempo, due creature praticamente insonni), non mi sono mai trovata a dover gestire l’invadenza pubblicitaria di una casa editrice? Le proposte se ne stanno sempre lì, in vacanza esclusiva, in un atollo maldiviano. Non hanno tempo per me. Chi sono io, del resto, se non una banale consumatrice? Vuoi un bel titolo? Leggi le recensioni dei critici, vai in libreria. Pochi intorno a te leggono? I libri costano. I bracciali di Pandora, invece, lo sanno tutti, li regalano. Eh, la questione della diffusione dell’amore per la cultura è vasta, che paragoni fai?

Se la gente è ignorante e preferisce spender soldi in argento piuttosto che in carta, che colpa ne hanno le case editrici?

Impegnate come sono a legger quintali di manoscritti dei quali solo pochi vedranno la luce di un’edizione perché il pubblico è quello che è e preferisce avere un nuovo ninnolo al polso piuttosto che una nuova idea in testa? Del resto, le case editrici non sono onlus e devono rispondere alla necessità di avere un bilancio in attivo.

Ho lavorato in più di un’azienda fondata a fini di lucro. In tutte, ho sempre visto il sedere dei colleghi commerciali fatti a fette sottili quando non venivano raggiunti budget, consumatori, pubblico. Esiste un mondo sconfinato laggiù, fatto di lettori non costanti, che una volta o due si sono innamorati di un libro, nella loro vita. E di quanto sia bello trovare un amico nelle pagine di un titolo che cambia la vita, hanno piena consapevolezza.

Questo è il pubblico potenziale, da andare a sedurre, a conquistare.

Non quello di chi legge sempre e non potrebbe immaginare la sua vita senza un libro in mano. Perché ci si ostina come muli a rivolgersi esclusivamente a questo ultimo target? Perché sui sacchetti del Mulino Bianco scrivono storie d’amore sfrenato tra gli ingredienti di un banale biscotto e il creativo delle case editrici è tutto meno che creativo e passa il tempo a rognare su quanto asini siano gli Italiani dando di volta in volta la colpa alla scuola, alla famiglia, ai videogiochi?

Ho visto una pubblicità risicata in Tv, tempo fa. Era sotto Natale. Ricordava con una banalità disarmante quanto potesse essere cosa intelligente regalare un libro. Tutto qui? In un’epoca di storytelling, brand awareness, street marketing, diavolerie social di ogni assortimento non sappiamo fare nulla di più? Hai scritto un romanzo e lo vuoi proporre a una casa editrice? Te lo dico subito: potrai essere la nuova Grazia Deledda, ma le tue pagine rimarranno con ogni probabilità canne al vento.

Non è colpa delle case editrici. È colpa della gente, che non legge. 

La gente vive per essere felice e leggere rende felici! Il sedere a fette!