Clelia Marchi è “un caso letterario” da scoprire e diffondere. Una piacevole scoperta che ho fatto da poco, sempre grazie a quel mio amico, che mi nutre di Cultura.
Clelia è una contadina, con una vita difficile, fatta di stenti e povertà. La sua vita è stata attraversata dalle due guerre mondiali. Nasce nel 1912 e muore nel 2006. Ha 4 figli su 8 che muoiono prima di lei. Sopravvivere alla morte dei figli. E’ un dolore incredibile ma la morte del marito nel 1972 la fa precipitare, crollare. Nella solitudine di quella camera matrimoniale: si era sposata a sedici anni. Lei affida il suo dolore alle parole. Lo scrivere è una terapia: dicono gli esperti psicoanalisti. La scrittura diventa la sua compagna, comincia a scrivere i ricordi.
“E così la vita è come un rastrello che si mucchia l’erba”.
Una sintassi zoppicante, ortografia incerta, espressioni dialettali. Scrivi oggi, scrivi domani, lei termina la carta nel suo armadio. Ci sono le lenzuola, quelle del corredo. Quelle lenzuola non servono più. Il protagonista di quel viaggio chiamato Amore, non ci sta più. Quelle lenzuola che l’avevano vista felice con il marito Anteo possono avere un senso. Si ricorda che la maestra le aveva detto che gli Etruschi con le lenzuola avvolgevano i defunti. Le lenzuola possono diventare il tazebao della sua autobiografia. 185 righe. Un giorno viene incoraggiata a portare “il lenzuolo” all’ archivio di PIEVE SANTO STEFANO, dove vengono conservati i diari degli italiani e delle italiane. Il lenzuolo viene esposto.
Lo nota LUCA FORMENTON, nipote di ARNOLDO MONDADORI e diventa un libro di 185 pagine: “Gnanca na busia” ….neanche una bugia.
Un caso letterario, da valorizzare, una storia che dovrebbe diventare un film ,uno spettacolo teatrale. Clelia e il suo lenzuolo mi ha fatto tornare alla mente che una volta a Frosinone l’associazione 03100 nel centro storico usò le lenzuola per scrivere i versi dei poeti del territorio. Dalle finestre scendevano lenzuola con scritte sopra le poesie. Clelia non è una poetessa, non scrive in versi, ma la sua prosa sgrammaticata trasuda di poesia