Conoscete la verità e la verità vi farà liberi. Cosi recita un passo del vangelo secondo Giovanni. Antifonte, capostipite dei sofisti, affermava che la verità non è unica, ma molteplice, basta cambiare punto di vista dell’osservatore, rispetto all’oggetto osservato e tutto cambia. Tenendo conto di queste affermazioni, la cosa incomincia a diventare complessa. Badate bene, ho detto complessa e non complicata, in quanto il significato dei due termini che, erroneamente, spesso, vengono utilizzati come sinonimi, è profondamente, diverso.

Infatti, Complessità deriva dal latino complexus, ossia qualcosa di intrecciato, composto da una molteplicità di parti interdipendenti fra loro. Una situazione può essere considerata complessa perché ha origine dall’intreccio di elementi che interagiscono fra loro, creando disordine e provocando incertezza. In una situazione complessa è difficile individuare e gestire tutte le variabili in gioco, così come è sostanzialmente impossibile prevederne gli sviluppi. Un problema che definiamo complesso non presenta una soluzione univoca, ma necessita di essere considerato globalmente, analizzando tutti gli elementi che lo compongono e le loro interazioni.

Complicazione deriva dal latino complicare, e sta a indicare qualcosa di piegato, avvolto su se stesso. Un problema è complicato quando si presenta come il risultato di un insieme di parti difficili da codificare. Sciogliere la complicazione può essere faticoso, ma esiste comunque una soluzione. Ciò che è complicato può essere ridotto a qualcosa di più semplice.

Questa specificazione era doverosa, per il corretto svolgimento del discorso.

In riferimento all’argomento trattato, ho affermato che la cosa incomincia a diventare complessa. Questo, perché, in relazione alle due affermazioni di apertura, la decodificazione del tutto, deve essere elaborata, dalla mente, in particolare dalla coscienza, che il premio Nobel della medicina Edelman, definisce processo, che si esprime, attraverso il suo strumento che è il cervello. Per l’autore di tale teoria il cervello è complessità. In altre parole, formato da parti che non agiscono autonomamente, ma, di volta, in volta, in stretta relazione tra di loro. Il risultato ultimo dell’elaborazione finale, è superiore alla somma delle singole parti, funzionanti singolarmente.

In altre parole, il nostro cervello funziona come il web, come la rete di internet: non ci sono assetti rigidi, ma un continuo cambiamento segnato dalla transitoria sincronizzazione di moltitudini di neuroni, armonicamente messi in fase. [1]

Allora, utilizzando la complessità del cervello, operiamo, per gradi, in modo tale, da trasformare l’argomento iniziale, prima in complicato, per renderlo, poi, semplice.

Quindi, nel nostro percorso, partiremo dalla complessità, per approdare, dolcemente, nel porto della complicazione, per attraccare, al molo sicuro della semplicità.

Prendendo spunto dalla tradizione millenaria, alla coscienza si è presentata, prepotentemente, una locuzione latina: In medio stat virtus (o anche in medio virtus stat), il cui significato letterale in italiano è: «la virtù sta nel mezzo». La locuzione invita a ricercare l’equilibrio, che si pone sempre tra due estremi, pertanto al di fuori di ogni esagerazione.

La realtà è, allo stesso tempo, unica e molteplice, universale e singolare. E’ unica e assoluta, nella sua realtà, in se, in quanto contenitore delle singole realtà, legate al vissuto di ogni persona, alle esperienze precedenti. E’ molteplice e soggettiva, nel me, in quanto possibilità di scelta, nelle molteplici possibilità.

La coscienza dipende non da ciò che è, ma da ciò che potrebbe essere. In altre parole, l’essere cosciente o meno, in questo preciso istante, è conseguenza di come il mio cervello potrebbe rispondere, a tutte le perturbazioni possibili, la stragrande maggioranza delle quali non avranno mai luogo.

Ogni volta che diamo uno sguardo al mondo, i segnali di ingresso dal mondo, di per se, non significano nulla. Non contengono, di per se, alcuna informazione. L’informazione è solo nello stato che evocano nel cervello, e quello stato significa quello che significa, in funzione del repertorio di stati possibili, dentro il cervello. [2]

Da quanto esposto, si evince che le emozioni, sono diverse, da persona a persona come sono diversi i comportamenti, pur rimando invariato lo stimolo esterno [ unicità della realtà].

Ognuno prende quel che può e quel che vuole, dovuto alle esperienze precedenti, da quello che noi comunichiamo e ci viene comunicato [ molteplicità della realtà].

Di solito, quando facciamo un discorso, più o meno impegnato, abbiamo la netta impressione che tutte le considerazioni che, poi, ci vengono riportate, comprese le più favorevoli, equivochino sul senso del nostro pensiero. Questo accade, perché gli impulsi che emettiamo – vale a dire, quello che diciamo e scriviamo – sono, per gli altri, semplici perturbazioni.  I nostri messaggi non cadono su tabulae rasae, ma su menti che hanno già una storia e una forma.

Le nostre informazioni ottengono il loro scopo, nella misura in cui gli altri ne selezionano parti, in relazione alle loro domande, aspettative, interessi, credenze, priorità, categorie. Il risultato è che ognuno ci capisce cose diverse. Ciò non deve essere considerato un increscioso fraintendimento, ma parte della dinamica stessa del comunicare.

A questo punto, la domanda nasce spontanea, allora, come accade che, bene o male, gli esseri umani si intendano tra loro, anche se sempre in un mare di malintesi?

Questo è possibile, in quanto, le nostre variazioni individuali sono, di solito, depositate su un tema comune, tra i tanti possibili,  di cui ognuno di noi è la variazione. Esso offre uno sfondo, che rende possibile una parziale sintonia tra comunicanti.  Da tutto ciò, si evince che, il tema di fondo, il contesto, in cui le parole vengono inserite, fanno si che rendono possibile la percezione dei significati, comuni a quel tema. Il concetto è lo stesso, ma l’immagine mentale che ognuno ne ha, può essere diversa.

In altre parole, possiamo intenderci, perché le nostre diverse immagini, si riferiscono ad un orizzonte di esperienze possibili –  da cui possiamo attingere esperienze comuni. Se ci diamo appuntamento, un giorno, alla stazione Termini, di Roma, ad una certa ora, è molto probabile che ci incontriamo. Anche, se,  di Roma, della stazione Termini, abbiamo immagini diverse, in base alle nostre esperienze. Quando comunichiamo, quel che conta non è che i nostri concetti  collimino: conta che viviamo nella stessa realtà concreta, in modo che i nostri concetti, da qualche parte, si intersechino.

I nostri corpi sensibili sono ad un tempo la fonte di ogni significato condiviso e di ogni malinteso. [3]

Nell’aver affrontato il concetto, con la mente, con la coscienza, con la complessità. Nell’averlo reso complicato, tentando, poi, di renderlo semplice, le parole di Pirandello, possono rendere il tutto più agevole, meglio di quanto abbia potuto fare io:

 “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”

Da tutto ciò, si evince, come sia fondamentale, ascoltare, con estrema attenzione, per, poi, cercare di esprimere il proprio pensiero, riducendo al massimo, le inevitabili, interferenze che si frappongono tra emittente e ricevente, della comunicazione. Questo è fondamentale, nello sport, a tutti i livelli, tra le varie componenti delle strutture societarie. Allo stesso modo, il concetto è estensibile, nella comunicazione della vita di tutti i giorni.

 

Bibliografia:

1] Di F. Varela. The Brainweb: phase synchronization and large-scale integration, Nature Review Neuroscience 2001; 2:229-239.

2] Giulio Tononi, Galileo e il fotodiodo, editori la terza, p. 123

3] Sicignano Antonio. Estratto tesi corso di specializzazione in Ipnosi e Psicoterapia Ericksoniana, quarto anno 2011. La teoria della coscienza di Edelman, come chiave di lettura di alcuni aspetti dell’ipnosi.


Dott. Sicignano Antonio
Medico di Medicina Generale
Medico Psicoterapeuta
Specialista in Ipnosi e Psicoterapia Ericksoniana

Esperto in Psicologia dello Sport
Presidente Comitato Campania SPOPSAM
Membro Direttivo Nazionale SPOPSAM

Mind Set Coach