La disoccupazione aumenta, atenei sempre più pieni e con nuove facoltà che non hanno quasi una logica.

Oggi essere uno studente universitario è cosa più che normale.
Se qualche tempo fa si era spinti dalla vocazione di seguire una scuola di specializzazione, oggi diventa quasi una prassi. C’è chi lo fa perché ancora non ha le idee chiare, chi perché spera in un lavoro sicuro e di tutto rispetto – il posto fisso –, o addirittura chi lo fa per esaltare sé stessi: tipo essere da premio Nobel. Ma soprattutto c’è chi lo fa perché non ha nessuna alternativa: l’università è la semplice continuazione del liceo.

Negli ultimi anni, molte facoltà hanno ridotto la quantità dei piani studio, creato modalità d’esame più ortodosse – o al contrario finte sedute di pappagalli -, ed inoltre hanno creato corsi di laurea secondari che aprono le porte a tutto tranne che al lavoro. Per fare l’infermiere, una volta, si doveva seguire un semplice corso di due anni in ospedale piuttosto che una laurea (di almeno tre anni) fa riflettere. Come c’è da riflettere che un semplice diplomato di una volta, della classe di geometra o ragioniere, riusciva a coprire ruoli lavorativi in cui oggi sono chiesti anni universitari di ingegneria o economia, può far capire quanto il livello sia calato. Se si pensa che fare l’università dia un certo livello di prestigio ci si sbaglia.

Molti professori stanno lamentando la superficialità con cui gli studenti affrontano il percorso universitario: voti, testa a testa, false prospettive… niente a che vedere con quello che la laurea rappresenta.

Tutta colpa del lavoro che non c’è? Effettivamente nessun diplomato può permettersi, almeno in Italia, di ambire a certe posizioni lavorative, quanto meno quello di scegliere ciò che ha studiato. Un’azienda non ha più il ragioniere ma l’economista… e magari quest’economista ha un master di dodicimila euro fatto al Sole 24 ore.
Se un giovane oggi a ventiquattro anni è senza un euro non è poi la fine del mondo; se poi un giovane a ventiquattro anni non ha matrimoni o figli alle spalle, come fu per suo padre, e ancor prima per suo nonno, è perché deve godersi la vita… per lavorare c’è tempo.