Io e la mia famiglia abbiamo avuto il Covid. Tutto è iniziato con mia madre, che lavorando nelle mense scolastiche era una delle più a rischio. Siamo stati attenti per un anno intero a rispettare le poche regole che ci erano imposte, io ho sempre evitato assembramenti o anche incontri a casa di amici per preservare la salute dei miei cari, ma non sempre queste misure bastano, purtroppo. Poi è stato il turno di mio padre e, infine, il mio.
Mamma è stata quella che ha avuto sintomi più lievi: raffreddore, naso chiuso, mal di gola, per giorni interi non ha mangiato quasi nulla, ma niente di esagerato.
Mio padre per due giorni è stato malissimo: ossigenazione bassa, dolori lancinanti ovunque, qualche linea di febbre, tosse, stanchezza perenne. Io ero ancora negativa al momento e non potevo neanche avvicinarmi. Non nascondo di aver pianto una notte intera pregando che la situazione non peggiorasse perché, per chi non lo sapesse, ha avuto problemi cardiaci così seri da rischiare due volte di morire e da subire un intervento con l’impianto di quattro by-pass (ad appena 61 anni). Fortunatamente la terapia prescritta dal medico ha fatto subito effetto e non è neanche stato ricoverato, ma la paura provata non la dimenticheremo mai.
Io sono risultata positiva per ultima, al termine dei dieci giorni di quarantena obbligatori per chi ha avuto contatti con un positivo.
Sono stata malissimo, non lo nego, e ancora oggi non sono al meglio delle mie forze. Tra i sintomi che ho avuto: mal di gola perenne, tosse (con attacchi in cui iniziavo a tossire per minuti interi e mi sembrava di soffocare), mal di testa, stanchezza così forte tale da farmi la doccia e essere costretta a rimanere sul divano per le quattro ore successive dallo sforzo fatto, dolori muscolari e articolari letteralmente dalla testa ai piedi così violenti da impedirmi ogni movimento (una notte ho iniziato ad urlare e a piangere disperata tanto erano forti e mi è preso un attacco di panico dalla paura).
Questi sono solo i più gravi e i più visibili, ma ce ne sono altri, tra cui i problemi a livello mentale.
Ho letto per mesi degli articoli di chi aveva contratto il Covid in cui raccontavano quanto fosse duro anche dal punto di vista psicologico e ora lo poso confermare in prima persona: non vedi via d’uscita, ti senti inerme e inutile perché non riesci neanche a compiere le azioni più facili e comuni, hai paura di peggiorare o di non tornare quello di prima, sei costretto a vivere in isolamento per settimane intere (io e i miei essendo tutti positivi potevamo incontrarci, ma sempre a distanza e con la mascherina anche dentro casa) e la depressione e l’ansia galoppano.
Tutto questo non è per mettere paura, imporre un regime del terrore o di dittatura, come leggo sempre più spesso nei social (e fidatevi che mentre stai male trovare frasi tipo “il Covid non esiste” o “non prende i giovani, è tutta una bufala” fanno più danni di una coltellata al petto), ma è solo per riportare la mia e la nostra situazione, senza esagerare o inventare cose. Bisogna prestare attenzione, che non vuol dire murarsi vivi in casa ma neanche partecipare a festini con 20 persone in un appartamento, e so che a volte non basta, ma almeno non avrai rimpianti. Immagino che possa sembrare assurdo, ma il fatto di averlo contratto per errori altrui e non per nostre mancanze ha rappresentato una consolazione enorme perché essere la causa del malessere dei tuoi genitori, soprattutto se entrambi over 60, non è roba da poco.
Oltretutto, appena abbiamo saputo che una collega di mamma aveva sintomi ci siamo autoisolati riuscendo così a non contagiare nessuno al di fuori del nucleo familiare.
Prima di chiudere vorrei però soffermarmi su un altro aspetto: il modo in cui le persone reagiscono alla notizia della tua positività. Noi siamo privilegiati perché abitando nello stesso stabile con gli zii hanno provveduto loro a fare la spesa e ad acquistare i farmaci e ammetto di aver ricevuto molti messaggi di aiuto, ma non tutti hanno questa fortuna. Conosco persone positive che vivono in condomini con decine di famiglie che, una volta usciti dopo la negatività, si sono sentite dire: “Che bello che finalmente sei guarita, quando abbiamo saputo che avevi il Covid siamo stati tanto in pensiero” e alla domanda “perché allora nessuno mi ha chiesto se avessi bisogno di medicine o altro?” hanno avuto la faccia tosta di rispondere “perché avevamo paura di essere contagiati”.
Più che la paura di essere contagiati dal Covid avevano forse il terrore di essere contagiati dall’altruismo, malattia che ormai è merce rara.
Un altro esempio di come la gente possa essere cattiva è quello secondo cui nel nostro paese è spuntata dal nulla la notizia di mio padre ricoverato e attaccato all’ossigeno 24 ore su 24. Ora, io non so chi sia stato e non voglio neanche saperlo perché rischierei di dare di matto se lo incontrassi, ma se gli unici che lo hanno chiamato per sapere delle sue condizioni sapevano che stava bene per via della terapia o chi l’ha inventato si augurava che mio padre stesse davvero all’ospedale o ha parlato a vanvera solo per il gusto di sparare quattro cazzate, e sinceramente non so quale delle due sia peggio.
Insomma, già i vari lockdown e restrizioni ci avevano mostrato quanto la frase “ne usciremo migliori” fosse una pura chimera, ma dopo queste settimane di reclusione sono sempre più certa che, oltre al Covid, il vero virus da sconfiggere nella società moderna sia un altro, ben più radicato e contagioso: quello del menefreghismo, dell’egoismo e del “la cosa importante è che non prenda a me”.
Ah, dimenticavo: IO HO 26 ANNI, NESSUNA PATOLOGIA PREGRESSA E PRIMA DEL COVID GODEVO DI OTTIMA SALUTE. Tra l’altro dovrei aver preso la variante inglese che colpisce in effetti anche i più giovani. Giusto per zittire coloro che “Il Covid prende solo i vecchi e quelli che non vengono ricoverati stanno benissimo”.