Diventai maestra di mia figlia. Ero incavolata con la scuola.

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Correva l’anno 2002.
Convocazione nella scuola primaria.
Ci sono problemi, ammettiamolo! Me l’aspettavo che qualcosa vagava nella nostra realtà.
Si cominciava un percorso che io ingenuamente credevo brevissimo.
Non capivo  che era solo l’inizio.
Non conoscevo le dinamiche scolastiche, dunque casco nelle balle proferitemi dalla scuola: niente sostegno per l’anno.
Non sapevamo ancora che mia figlia aveva una malformazione rara.
Spettava il sostegno, altroché se spettava e la scuola si sarebbe dovuta attivare, cosa che non fece.
Dopo…dopo…avrei imparato tanto, anzi tantissimo, su come gira il mondo del sostegno e l’approccio con i ragazzi con disabilità.

Il mio primo passo era il colloquio con il neuropsichiatra infantile.

Faccio presente al medico che mia figlia è completamente abbandonata e sola in classe.
Mi conosce il neuropsichiatra.
Per altre dinamiche che non sto a spiegare nei dettagli, il suo lavoro ed il mio si incrociano in ambiente dove lui è un dirigente medico ed io ho altro ruolo  in sindacato.
Mi chiede se me la sento di fare da maestra a mia figlia.
Certo che vorrei farlo, ma non ho basi.
“Le basi le fornisco io, ma devi seguire alla lettera ciò che ti spiego. Non trasgredire neanche di una virgola, sennò salta tutto”.

Comincia l’avventura.

Mi fa preparare dei cartoncini con tutte le lettere dell’alfabeto, preparate al pc.
Le stampo belle grandi e scelgo il colore verde. Sono scaramantica ed il verde mi da speranza.
Mi spiega che si comincia con mezz’ora di lavoro e 10 minuti di riposo.
Nessuna deroga a questi tempi. Devo insegnarle le consonanti e le vocali
Poi … poi … si andrà con l’unione consonanti e vocali, per tanto tempo.
Deve memorizzare piano piano.
Devo tenere per ultimo CE E GE, perché sono difficili per tutti, ancor di più per loro.
Nessun giorno di riposo, neppure la Domenica.
Deve sembrare un gioco, piano piano devo aumentare il tempo del lavoro senza diminuire i tempi di sosta per il gioco.

Ero la maestra di mia figlia. Lei lavora e ripete i vari insegnamenti.

Passano i mesi, gli altri in classe vanno avanti come treni, sono abbastanza incavolata con la scuola per il loro menefreghismo ma, mi rendo conto che mia figlia può contare solo su di me.
Siamo a Maggio. Io e lei sempre a legare consonanti con vocali, poi ancora a cercare di legare le varie sillabe.
La sera eravamo in bagno quando sento che dice spedita: “sapone liquido”.
E’ velocissima.
Mi blocco e chiedo spiegazioni. E’ scritto qui, mi dice, indicandomi le due parole.
Penso che sia il collegamento alle nostre spese al market.
Non può essere! E’ troppo difficile, non illuderti.
Marisa non volare alto, è impossibile, mi ripeto.
L’indomani passavo l’aspirapolvere per casa, quando mia figlia arriva alle spalle e legge la scritta che avevo sulla maglietta: “IL MERLO PARLANTE”.
Mi viene un colpo, mi commuovo e l’abbraccio fortissimo.
Parole difficilissime.
Chiamo il papà.
Nessuno poteva averglielo detto.
Martina sapeva leggere.Ha letto sia ieri che oggi due parole che mai avrei pensato sapesse fare.

Un’emozione fortissima che ricordo ancora ed ancora riesco a commuovermi.

Da quel momento, non passava un cartello stradale senza che lei lo leggesse, non passava una vettura senza che lei leggesse marca e nome.
Quanto mi sono sentita importante secondo voi da 10 a 100????
200, dico io.
Grazie Dott. xxxxxx per avermi dato gli strumenti per insegnare a mia figlia “speciale”.
I cartoncini verdi?  Sono ben conservati a  “IMPERITURO RICORDO