Non sono sparita, come vedi sono tornata tra le dune, vengo a cercare cosa ci sia tra le onde, per capire cosa ci sia dentro di me. Vengo da Roma.
Lui lavorava fino a tardi ci siamo incontrati a Termini, io sempre con il mio zaino, io vado sempre dove non lo so, ma vado. Lui aveva voglia di vedermi, poi all’ improvviso, appena ci siamo incontrati «non mi gira». Ovvio era successo qualcosa e quel qualcosa che si insinua, ci allontana e mi scaraventa in quel qualcosa. Ormai ho imparato, sono bigama, sto con lui e con l’altro. Anche io sto diventando l’una e l altra. Siamo in quattro, due coppie. Aspettavamo il 5, che non arrivava, lui era incazzato con l’ Atac e io mi sentivo dentro lo stomaco l’Atac, tutto il carrozzone.
Sono consapevole che vivere a Roma significa stress, ma io nel guardarlo in silenzio mi dicevo «Mi chiamo Carla, non Atac».
Sul mezzo mi metto a giocare con il cellulare, mondi paralleli. Al capolinea è costretto a chiamarmi, non mi ero accorta di essere arrivata, lui si è accorto, che ero diventata pure io l’altra, l’assente. Mi prende per mano.
Chi ci ha visti seduti al tavolino a bere il the freddo giurerà di aver visto una coppia normale, felice.
Ci sono dei locali a Roma, che possono raccontare la nostra felicità, altri il nostro tentativo di stare bene. Altri ancora che colla li tiene uniti. Sono quei locali dove non ci parliamo, io ho gli occhi rossi, di quella che ha pianto. Locale del the freddo è il bar di una tappa prima di casa sua, in quel locale lui tira fuori sempre il meglio di se. Le sue piccole attenzioni, che rendono poi questa storia speciale. Il portacenere, si ricorda di cercartelo, sa che dopo i viaggi, la mia pausa prevede una sigaretta. Adesso tu dirai «il portacenere come prova di attenzione? ».
Si sono queste piccole cose.
A casa è di nuovo cambiato, aveva caldo mi sentivo il vento caldo del Sahara, volevo dirgli «Sono Carla». Il silenzio tra noi è durato tanto, mi sono stesa sul letto, dicendo quel ritornello «mai più… » ormai non ci credo più neanche io a questo ritornello. A proposito lo sai c’è un writer che su un muro ha scritto « Sei l’addio che non riuscirò mai a dire ». Lui conosce tutti i muri dove i writer scrivono le cose che lui non dice, mi fa parlare dai muri «Scema ti amo». Sui muri finiscono le parole che non ci diciamo??? Dove finiscono le parole che non ci diciamo’??? Nel silenzio è diventato l’altro, ha preparato la cena e poi nel letto mi dicevo «Tempo fermati qui, mentre raggiungo l’estasi e lui è la pace del guerriero».
Nella mia pancia finiscono i silenzi, sono incinta dei silenzi.
Quando mi alzo la colazione, quelle coccolose che solo lui sa preparare. Nella lavatrice sono finiti i miei leggins, quelli preferiti. Lui mi guarda: tanto tornerai. Nel mio zaino sono finiti due libri importanti suoi. Prende il mappamondo lo gira con un dito segue un percorso e poi «Le Antille sono a dodici ore e mezza di volo, proprio laggiù vuoi diventare maggiorenne?» Lui sa che se pronunciasse la parola Resta, l’altra donna che abita dentro di me corre all’aeroporto subito. Mi lascia a casa tra le sue cose, nel suo disordine, che è il nostro disordine. Rientra stanco, è tardi, molto tardi, mi chiede «sei arrabbiata».
Sono sul punto di una scenata isterica di gelosia, ma non c’è un’altra, mi ha lasciata sola in compagnia di tanti piccoli frammenti, in un puzzle surreale, che parla di noi, delle cose che vado seminando, che lui ritrova e puntualmente restano li. Poi sorride e «nel mondo fuori non c’è lei, abita dentro di te «Ha spogliato per la prima volta il mio corpo, senza togliermi i vestiti ». Nuovo giorno, lo zaino è pronto, lui non mi chiede nulla, sa che dentro di me è arrivato uno tsunami, nel libro che mi aveva lasciato sottolineato «per vincere la paura e diventare maggiorenne basta entrare in una mattonella, la stessa di sempre con il piede diverso ».