Don Calogero Spataro era andato in campagna prestissimo come ogni mattina. Gli uomini erano tutti concentrati e intenti alla vendemmia che sarebbe avvenuta a ottobre preparandosi a produrre il miglior vino di tutta l’isola. La campagna non era mai stata tanto bella, lussureggiante e ricca. I vigneti erano uno spettacolo da non perdere con la splendida uva che ornava i tralici. Essa restava baciata dal sole. Il maresciallo Faina passò davanti rimanendo ammirato da tanta magnificenza. Il rappresentante della legge lodò l’impegno degli operai per uno dei tesori più importanti della Sicilia. E, naturalmente accettò con piacere un paniere colmo di uva. Quest’ultimo dopo aver ringraziato salutò soddisfatto per tornarsene in ufficio. La pace che aleggiava in oltre in quell’angolo di paradiso conciliava con l’aria una buona colazione a base di frutta e un buon sonno. Il graduato ragionò, che in fondo grandi problemi non ne esistevano e dunque avrebbe potuto dedicarsi al suo passatempo preferito non che un dolce riposo ristoratore. Il nostro personaggio quando arrivò nella piccola caserma del paese di Montecastello impartì al fedele appuntato, che non volesse essere disturbato per nessun motivo, che non fosse più che valido. Sparta Itaca fece cenno di aver capito concentrandosi sul suo lavoro d’ufficio. Italo Faina si chiuse dentro il suo assaporando l’uva e facendola sua in poco tempo. L’aria ucriese, che entrava dalla finestra aperta finì per spedirlo letteralmente nel mondo dei sogni. Quella notte non era riuscito a riposare e pensò bene di recuperare. Il tutore della legge sognò la campagna di Raccuja nella quale trascorrere ore piacevoli sotto una quercia immerso in un appetitoso pic- nic. A risvegliarlo da quel sonno profondo fu la voce del gendarme. Il paniere era nel frattempo vuoto e restava posto di lato sopra la scrivania. Il carabiniere tentò di dire, che sua Eccellenza fosse arrivato e che avesse bisogno di consultarlo. Il superiore non capì subito bene e si scagliò contro il povero Itaca. Il principe Sajeti gli stava dinnanzi davanti aspettando che per lo meno alzasse il capo. Don Jorge lo conosceva fin troppo bene. Il gentiluomo dovette risvegliarlo bruscamente sperando in un segno dal cielo. L’uomo si era svegliato dal suo sonno primordiale per poi accorgersi finalmente che avesse davanti il barone di Ucria. Voscenza lo mise al corrente senza perdere tempo, che sarebbe partito appena possibile con la sua famiglia per l’Erasmo di S. Caterina che restava in provincia di Varese. L’aristocratico gli stava domandando la gentilezza se potesse accompagnarli in una sorta di gita di piacere e per farlo incontrare con le autorità locali per un’alleanza tra città e paese. Il maresciallo dei carabinieri quando sentì la prospettiva del viaggio gratuito balzò in piedi riconoscente per poi baciargli le mani e inchinandosi al suo cospetto. Cari lettori ricordiamo che in quel periodo degli anni‘50 era ancora fortissimo il potere dell’alta aristocrazia terriera e del baronato di stampo feudale. Sajeti quando tornò a casa si mise seduto nella “Sala delle armi” per affrontare la storia di S. Caterina del Sasso. Il luogo era adagiato su uno strapiombo di una parete rocciosa a picco sul lago. L’eremo resterebbe uno degli scenari più suggestivi che si trovano sulle acque del Maggiore. L’accesso era consentito verso la chiesa da un portico formato a quattro archi a sesto che andava ad attraversarlo. L’edificio era di impronta rinascimentale. L’abbazia possedeva attualmente una struttura davvero singolare. Essa era stata il risultato della fusione di tre cappelle, che in origine dovevano essere state distinte in epoche differenti. I cicli pittorici erano all’interno davvero notevoli sia al di fuori che all’interno della chiesa. La struttura andrebbe a coprire un lasso di tempo del XIX secolo. In questo luogo andrebbero a fondersi armoniosamente in un quadro naturale tra i più suggestivi restando quasi una balconata che si affaccia verso il golfo borromeo, Stresa e le isole. In genere entrando all’ingresso si troverebbe l’Eremo per poi approdare al ‘Convento meridionale ‘ opera risalente al XIV-XVII corredato da interessanti affreschi appartenenti alla ‘Sala del camino ‘. Tuttavia più avanti si trovava il ‘Conventino ‘ del XIII secolo. Esso era stato ideato di sotto delle sue finestre che si trovano al primo piano resta presente un lungo affresco del ‘700 ispirato alla ‘Danza macabra ‘. E, in fine appariva la cappella di S. Caterina, che si trovava collocata all’interno della chiesa. In una parete del sotto portico restava impilata un’altra carrellata di affreschi del ‘500 raffiguranti S. Lucia, S. Maddalena e S. Caterina con altri Santi. In questa opera murale si riconoscono Pietro da Verona e Nicola da Bari. Si sottolineva al suo interno una statua del Cristo in mandorla mentre benedice. Quest’ultima veniva affiancata dai quattro simboli degli Evangelisti (Giovanni, Matteo, Luca e Marco.) e che vanno a dominare dall’alto dell’altare. Le due vele poste ai lati erano occupati dai dottori della chiesa. Il cielo darebbe l’impressione che intenda alludere alla divulgazione della Parola Divina. Un decoro era stato probabilmente eseguito da un’artista identificato con il maestro di S. Abbondio. Le pareti della cappella apparirebbero grazie agli ultimi interventi di restaurazione facendo in modo di far riemergere un’altra serie di dipinti nei quali spiccherebbe un frammento di un’ipotetica crocifissione. I tre sotto archi possiedono alcuni decori inerenti al re Davide munito di cedra e cortiglia. Il lato presenta sul lato del mondo un angelo, che è nell’atto di svegliare il profeta Isaia e al do sopra di quello interno appare Melchisedech seduto sul trono verso il lago. Il presbiterio era stato realizzato in puro stile barocco dell’epoca del 1610/1612. Essa riportava le opere di De Advocatis e del ‘ Matrimonio mistico di S. Caterina ‘ con ai bordi la figura dell’altare della beata Giuliana da Busto e Caterina da Pallanza. Un altro rilevante documento, che resterebbe figurativo dell’Eremo apparirebbe simboleggiato dalla ‘Deposizione ‘ presente nella ‘Sala capitolare’. La cromia vivace era stata con l’energia del lavoro artistico ( Esso è apprezzabile per via soprattutto della corrente artistica degli ‘ Armigeri ‘ indirizzati verso anche la puntualità descrittive delle armature.), che andrebbero a rafforzare le fisionomie. Loro vanno a consolidarne un unicum di vitale importanza per l’area varesina. Gli ornamenti appartengono alla metà del ‘ 300. La costruzione era stata inerente alla torre campanaria sempre nello stesso periodo. Essa è alta 15 m includendo la cuspide a base rettangolare. L’impalcatura era in origine edificata come campanile della chiesa di S. Nicola con la possibilità di un’entrata autonoma ( Oggi apparirebbe murata.). Il XVI secolo assisterà a quando la chiesa verrà inserita nell’attuale edificio sacro. La porta d’ingresso era stata aperta permettendo l’accesso alla chiesa tramite il portico rinascimentale. Il materiale edilizio utilizzato per lavorare la torre è di svariata natura. Un esempio potrebbero essere gli spigoli con pietra maggiormente cesellata e squadrata. La cella campanaria era munita da un’apertura su ogni lato. Si trattava di quattro feritoie sormontate da un architrave. La prima era stata posta a nord. In precedenza era stata murata. Le due visibili erano state invece dotate di una colonna piccola donando un aspetto a bifore. Il sacello sarebbe il cuore del vero nucleo del santuario. La quale edificazione risalirebbe al 1195. Esso venne costruito su un livello più basso rispetto alle altre parti della chiesa con le stesse identiche dimensioni del sepolcro di S. Caterina posto sul monte Sinai. La parete esterna era al di sopra della finestra nella quale è riportato il trasporto del corpo della Santa e del monte Sinai da parte degli angeli. La facciata testimonia le nozze di S. Caterina tra S. Ambrogio, S. Gregorio Magno e S. Agostino appartenenti al XVI secolo. Il sacello custodiva al suo interno dal 1535 la reliquia del Beato Alberto Besozzi. La volta è affrescata a raggera con S. Caterina creata a forma di colomba rimanendo circondata da angeli con l’immagine del Beato Alberto in preghiera. La ‘Sala capitolare ‘ era esposta a una preziosa documentazione fotografica, che illustrava l’intervento di restauro voluto dalla provincia. La quale ogni anno andava a in augurare concerti estivi.
La cameriera era venuta a domandare cosa desiderasse per pranzo. La principessa Isabella era in fermento dicendolo. Il nobile dopo aver risposto chiese di Negus. Il fatto di non vedere il suo amico a quattro zampe lo lasciava pensoso. Il gatto stava in compagnia di Francesco Galati e di sua moglie che come altri apparivano avere una venerazione verso il felino. Il casato dei Sajeti era andato a decorare il proprio stemma con l’effige ben augurante di un gatto nero, che rimaneva da un lato in risalto con l’elmo di un cavaliere templare. Negus era stato chiamato quasi a proteggere la famiglia di sangue reale che discendeva dagli spagnoli e dagli arabi. I nemici dei signori di Montecastello erano rimasti perplessi di quella scelta. Il mese di ottobre era stato favorevole con la ‘Sagra dei funghi ‘ tradizionale. Calogero era riuscito ad ammirare la baronessina alla festa. I due giovani si erano nascosti dietro ad alte spesse mura per dialogare e scambiarsi un bacio. Spataro dopo averla osservata nel suo abito celeste era intervenuto a frenare gli entusiasmi della figlia del padrone. Qualcuno avrebbe potuto vederli e dare adito a pettegolezzi e voci di corridoio. La fanciulla gli aveva fatto scivolare in mano una lettera di colore rosso. Il sottoposto del barone era andato a intascarla velocemente. Il ragazzo, che allora possedeva già venti anni dovette arrivare a cacciarla. L’addetto del principe stava vicino a Vicarjau dando gli ultimi ordini. Il giorno dopo l’aereo li attendeva a Catania. L’automobile era stata preparata e così potevano lasciarsi alle spalle Ucria. Negus era rimasto in compagnia della servitù garantendosi la pace della villa. Sua eccellenza e la figlia arrivarono in Lombardia atterrando in perfetto orario. L’autista era in anticipo di mezz’ora aprendo le porte e facendoli accomodare in auto. Il tempo trovato non era dei migliori infatti trovarono freddo. I signori Sajeti vennero condotti per alloggiare alla rocca borromea. Il castello era più imponente più che mai mentre si rifletteva nelle acque. Arona era dall’altra parte nascosta dalla nebbia. Angera appariva cupa e più misteriosa del solito ricordando l’alta Stiria, che si trovava in Romania. Gli amici erano stati ben contenti di riaverli come ospiti. L’anno prima si erano trattenuti un mese divertendosi e senza che mancassero i colpi di scena. Il gatto della rocca li stava aspettando posto con atteggiamento fiero in piedi su un piccolo muro, che adornava l’edificio storico. Voscenza possedeva sempre buone parole e attenzione verso gli animali come Rococò al quale appariva mancasse la parola. Il vento era aumentato, ma questo non consentì che gli ospiti non ricambiassero gli onori elargiti dal felino. Spataro e Vicarjau diedero ordine ai domestici di portare pure via i bagagli. I coniugi Del Barro erano stati ancora pronti ad affittare un’altra ala del castello. La principessa Isabella si era ritirata nella sua stanza in attesa di scendere per cena. La marchesa Chiara doveva amare tantissimo quel luogo per trascorrere nuovamente le vacanze. Qual’è sarà stato veramente il segreto della rocca? E, chi avrebbe potuto dirlo ho asserirlo con assoluta certezza? Quella sera sentirono tutti freddo malgrado i camini fossero stati accesi. La maschera misteriosa era stata appesa sul muro incuriosendo la signorina Isabella. Essa era stata finemente decorata con intarsi in oro ricordando quelle inca. Lei avrebbe tanto voluto mostrarla a Calogero. L’addetto stava proprio portando in quel momento parte delle valige rimaste fermandosi a osservarla con cura. L’ucriese si aspettava per una volta tanto un soggiorno tranquillo. Davvero lo sarebbe stato ? Il maresciallo Faina si era reso disponibile portando altre valigie del barone. Italo era preso come non mai dell’incanto del posto malgrado il mal tempo. Un temporale si era scagliato sulla città di Angera diventando spaventoso assumendo tratti inquietanti. Quella sera stessa e spaventosa si era presentata alla fortezza per chiedere aiuto un cocchiere per la sua padrona. La nobildonna apparteneva all’aristocrazia russa chiamandosi Ylenia Starnovic del casato di St. Martovie discendente della famiglia degli zar Romanov. Il signor Ottavio la fece entrare dandole alloggio. La gentildonna arrivava da Mosca e si trovava in Italia per visitare la penisola. Chiara Riondino le fece vedere la sua camera lasciandola da sola con una cameriera, che potesse aiutarla per le sue necessità. La signora apparve strana agli ospiti del castello. Ella trascorse il primo giorno nella sua stanza scendendo solo per consumare i pasti principali. A ogni buon conto i Sajeti andarono a visitare l’eremo di S. Caterina. L’abazia dava sul lago splendido e lucido. La giornata si era preannunciata promettente e piena di promesse. I baroni si soffermarono sul panorama. Gli ospiti vennero invitati a trascorrere quindici giorni all’Erasmo. I principi sicuramente alla fine del soggiorno dai marchesi Del Barro avrebbero finito di trascorrere le ferie in quel luogo particolare. Padre Gibou li condusse all’interno dei vari edifici mostrando gli alloggi riservati ai frati. Il sole riscaldava gli ambienti che restavano sempre lievemente gelidi. Calogero e Virù Vicarjau erano rimasti a bocca aperta nell’osservare i decori. Il pasto fu molto frugale, ma apprezzatissimo dalla comitiva. Il refettorio appariva pulito e lindo con un frate addetto alla cucina che serviva il pranzo. Italo Faina era talmente concentrato sulla gita da dimenticare il resto del suo ruolo in quella regione. Domani ci sarebbe stato l’incontro con le autorità locali e la festa di rito e fratellanza tra le varie caserme. Lui non poteva lamentarsi di nulla. Quest’ultimo seguì l’esempio dei suoi padroni acquistando una guida turistica. Il rappresentante della legge malgrado la sua tirchieria amava spendere qualche soldo per i libri. La signorina Sajeti non si stava accorgendo di niente di ciò che stesse accadendo al castello. La misteriosa sconosciuta stava proprio in quell’attimo dialogando con l’addetto di suo padre. Spataro non era uno sciocco e stava sospettando arditamente, che si fosse avvicinata alla sua persona per qualche scopo non chiaro. In fondo per quale ragione una bella donna oltre tutto un’aristocratica avrebbe dovuto farlo ? Il suo profumo riscontrò che fosse dolciastro e allettante. Esso non riuscì comunque a distrarlo dal suo ruolo, che vivesse nella vita di tutti i giorni. Il suo cuore mise subito in evidenza, che appartenesse a un’altra fanciulla e che per nessuna cosa al mondo avrebbe tradito l’impegno preso. La gentildonna era rimasta male e sorpresa dell’atteggiamento assunto dal giovane servitore del principe di Sicilia. Questo comportamento in atteso lo trovò disarmante soprattutto in un ragazzo di umili origini. Un altro essere umano avrebbe accettato senza battere ciglio. Ella non si sarebbe arresa a quel rifiuto, che anzi era andato ad aumentare le sue speranze e mire. Il maresciallo Faina era stato preso al laccio dal suo potere seduttivo e malefico. Il suo volto era bianco restando similare alla cera risaltando su una chioma riccia e rossa. La sua immagine era rimasta nella sua mente della sua prima apparizione la sera del suo arrivo. Ylenia era emersa dalla notte avvolta in un mantello a cappuccio e sul capo portava un cappello con la veletta in un abbigliamento scuro e misterioso. L’abito che doveva aver indossato al suo ingresso era stato di una stoffa pregiata e di un colore nero con intarsi rossi come sui bordi delle maniche e in ‘ vita ‘ che facevano presa. Il vestito ricordava i modelli medioevali. Il suo servitore era vestito ugualmente di scuro. L’uomo era di poche parole, alto portando un completo nero con camicia bianca e stivali. Questi personaggi per dire la verità simboleggiavano il male e non aprivano di certo un buon preludio. Don Spataro sembrò accorgersene che qualcosa non andasse. I cavalli erano quella sera più nervosi. Lui non riusciva a prendere sonno. L’aiutante del barone doveva aver riscontrato, che da quando fosse apparsa con il suo seguito l’atmosfera sembrasse diversa. Faina lo incontrò in corridoio mentre rientrava nella sua camera. Il graduato voleva uscire a prendere una boccata d’aria fresca. L’ucriese era invece tornato nella sua stanza accorgendosi subito di un’ombra sinistra che la dominasse. Il giovane afferrò la pistola mirando verso di essa. Egli si accorse quasi in ultimo, che si trattasse della contessa russa. Ylenia voleva sedurlo, ammaliarlo e prenderlo nelle sue spire mortali. Calogero doveva aver intuito perfettamente, che fosse un ‘ avventuriera con qualche altra cosa che al momento gli sfuggisse. Il ragazzo l’allontanò con decisione. La sua provocazione non lo riguardava affatto. L’isolano non era intenzionato a cedere, piegarsi alle brame di quel mostro. La sua essenza malvagia doveva averla compresa. Satana si poteva nascondere facilmente sotto le sembianze di una donna bellissima e affascinante. Il nostro personaggio si ricordò di come il libro di ‘ Proverbi ‘ ricordasse di come una malattia potesse attaccare il fegato e spappolarlo. Questo dettaglio ulteriore gli bastò per contrattaccare la gentildonna di Mosca vincendo il suo primo round. Ella sembrò aver accantonato il proposito e abbandonare il campo. Cari lettori davvero l’avrebbe fatto ? In genere il Diavolo era risaputo, che si ripresentasse in un momento più convenevole. Questo lo fece con Gesù, che si stava trovando in mezzo al deserto. Quest’ultimo arrivò per tentarlo. Il figlio di Dio fu deciso a mantenere la sua posizione ferma anche quando il suo nemico disse che per un solo atto di adorazione nei suoi riguardi gli avrebbe dato tutti i regni della terra. Gesù sapeva come comportarsi senza farsi ingannare sfoderando la sua sapienza contro quella creatura spirituale, che si era ribellata a suo Padre.
I giorni che seguirono al castello apparvero abbastanza tranquilli. Qualcosa nell’aria stava però lavorando sotto quella calma apparente. La principessa Isabella dialogava con la marchesa Chiara davanti a una vetrata e nella stanza della nobildonna. L’atmosfera appariva insolita per quanto ognuno fosse dedito alle proprie mansioni. La contessa russa rimaneva nella sua camera come in attesa di un evento. Vicarjau stava in compagnia dei cavalli. I baroni Sajeti finalmente lasciarono il clima irreale della rocca alla volta di S. Caterina. I principi quando arrivarono vennero accolti come il primo giorno. Si sistemarono immediatamente con il corteo dei personali servitori al seguito. Spataro si sentiva più tranquillo all’Eremo piuttosto che nella fortezza borromea. L’anno prima era stata una situazione differente poiché non doveva apparire quell’aristocratica di Mosca. Il giovane dal primo istante che doveva averla conosciuta aveva compreso che qualcosa non andasse. Il personaggio del nostro racconto credeva di aver intuito che l’ospite di Angera mantenesse dei rapporti privati profondi con il suo servitore Molnar. Don Spataro doveva aver messo al corrente delle sue supposizioni come prevedibile anche il suo padrone. Voscenza non era rimasto stupito affatto. In genere il suo sottoposto sapeva vedere lontano. Sua Eccellenza pensò i fatti privati degli altri non lo riguardassero. L’importante era che non andassero a intaccare i suoi personali. Il barone era arrivato nella sua stanza e come d’abitudine con la sua usuale calma aveva sfilato il cappello e il soprabito appendendoli all’attacca panni con la consueta classe del quale doveva essere noto. L’addetto di Montecastello doveva ammirarlo moltissimo prendendo spunto per come avrebbe dovuto comportarsi un gentiluomo anche non titolato. Il suo passato da trovatello stava trovando la sua rivincita privata in quell’inedita esistenza nella quale venisse rispettato. In oltre l’amore della sua cara Isabella lo riscaldava completamente. Cosa poteva importare se il sentimento fosse custodito nel segreto ? Lui quella passione non l’avrebbe mai scordata. Le lettere della sua amata le teneva tutte nascoste sotto chiave con la sua immagine benedetta. Nessuna altra donna avrebbe potuto competere con la baronessina di Ucria. L’addetto quell’affetto puro non l’avrebbe mai sporcato biecamente. A ogni buon conto si sentiva più tranquillo di non doversi incontrare con Ylenia. La sua vicinanza lo turbava avendo paura che potesse metterlo in cattiva luce con la sua principessa. Cari lettori stava conducendo ugualmente delle indagini. Virù era tornato al castello per questo motivo. In quella notte stessa venne a trovarlo la signorina Sajeti dovendo rimproverarla per tanta incoscienza. Lei aveva posato sul tavolino da notte la sua lettera. L’addetto di suo padre ricambiò la cortesia sfilando dal cassetto il suo scritto. Il rapporto che lo univa a Isabella era al di sopra di tutto. Calogero Spataro era cresciuto nel pregiudizio più totale e suo padre l’aveva salvato da quel baratro e incertezza. Lui non poteva dimenticare quel gesto di benevolenza. L’aiutante del principe se non fosse stato possibile altro, avrebbe continuato a vivere nell’ombra della famiglia Sajeti. Il giovane avrebbe proseguito ad amare allo stesso modo la fanciulla proteggendola da pericoli oscuri se sarebbe servito. L’importante che non fossero amanti, ma che si amassero senza commettere sbagli e peccati. I nostri due personaggi si baciarono abbracciandosi. Il ragazzo lo congedò non era mai prudente attardarsi troppo. Il ‘braccio destro ‘ del barone lo faceva per quella ragazza, che doveva aver trafitto il suo cuore. In maniera, che non si trovasse nei guai se avesse dovuto sposarsi un domani. E, poi non voleva rovinare o sciupare quel legame eccellente. Isabella Sajeti uscì dalla sua stanza ritornando nella propria con in mano la lettera del suo grande amore. Quando chiuse la porta alle sue spalle si cambiò d’abito infilandosi la camicia da notte blu mettendosi a letto per leggere comodamente uno scritto. Una vicenda sentimentale, che ormai durava da anni in un alcova irreale fatta di biglietti e di qualche bacio rubato. Rosaria era la sua domestica di fiducia e doveva esserne perfettamente al corrente della relazione che intercorreva. La cameriera si era resa complice poiché facesse da tramite consegnando la corrispondenza e qualche dono. Le rose erano di Calogero. I fiori che la padrona teneva in un vaso della sua stanza. Il bracciale che indossava di sovente al polso destro era un altro regalo del giovane. Una volta la baronessina audacemente aveva fatto consegnare oltre a un suo messaggio allegato a una scatola di cioccolatini unito a un suo fazzoletto con ricamate le sue iniziali S.A.R.P.I.S.M. l’oggetto riportava ricamato lo stemma. Zaira un’altra persona che faceva parte della servitù di Ucria era sembrato che una sera doveva essersi accorta dei loro incontri brevi, ma fugaci. Grazie al cielo essendo avvolti dall’oscurità non aveva potuto stabilire chi fosse la coppia. La pesante penombra aveva fatto in modo di renderli irriconoscibili. Zaira La Zisa si era andata a innamorare disperatamente e senza speranza del quel ragazzo arrivato da Catania più di un decennio prima. Ella era presuntuosa pensando che prima o poi l’avrebbe conquistato. La ragazza non poteva sospettare minimamente chi potesse avere per rivale.
Cari lettori per ritornare a S. Caterina con l’arrivo della famiglia di Montecastello successe un’atroce delitto. Un prete era stato ucciso e adesso Italo Faina avrebbe indagato con le autorità locali. La festa di rito dei ‘Carabinieri ‘ sarebbe avvenuta come programma domani. L’inaugurazione non era stata delle migliori come preludio. Il maresciallo stava facendo un giro di ricognizione intorno all’abazia. Lui quella notte non era riuscito a prendere sonno e nemmeno l’uomo di fiducia di voscenza. Il delitto era stato consumato al di sopra dell’Erasmo. L’assassino aveva gettato la vittima in fondo al lago. Il povero reverendo era finito sfracellato. Faina ragionò sulla dinamica dell’omicidio con Spataro. Il rappresentante della legge malgrado i suoi difetti svolgeva eccellentemente il suo dovere come sovrintendente delle forze dell’ordine. Il graduato non era uno sciocco e tanto meno uno sprovveduto. Italo pensò che fossero anni che non gli capitasse più tra le mani una vicenda simile. Chissà come sarebbe andata? L’indomani arrivarono i colleghi lombardi di Angera per i festeggiamenti e per trattare la morte di Padre Christian Xavier. La procura di Varese si era pronunciata in merito a favore del nostro personaggio. Sua Eccellenza e Calogero si erano congratulati poiché il caso fosse stato affidato alla sua persona. Il maresciallo Italo Faina era stato in passato senza un impiego fisso. Si era ritrovato a servizio del signore di Montecastello da venti anni. L’uomo si era guadagnato quel posto per la fedeltà incondizionata data al barone. Gli altri non conoscevano come la sua persona i luoghi più malfamati e bassi della regione. Non si era mai visto che un ladro diventasse maresciallo con le sue esperienze alle spalle. La vita insegnava che è però tutto fattibile e che in qualche maniera si può redimersi. In fondo era riuscito a cambiare in una buona parte trovando in fondo a se stesso la motivazione e in quella divisa statale. Si era anche sposato con una ragazza del paese nel quale operava. In che cosa di altro avrebbe potuto sperare di meglio? Gli imprevisti potevano essere sempre in agguato e all’ordine del giorno. Il pubblico ufficiale si era sposato il 7 luglio del 1945. Il personaggio ricordava quella data con felicità. In quei primi anni ’40 si era sistemato definitivamente con il matrimonio. A quell’unione meravigliosa era mancata la gioia di un figlio. Massimina sperava tanto in quel miracolo. Per l’uomo sarebbe stato fondamentale, ma non importava se non sarebbero riusciti ad averlo. Il carabiniere era consapevole che donne come quella contessa russa che non avrebbero mai degnato di uno sguardo uomini della sua condizione e nemmeno lo avrebbe voluto. Lui era incuriosito dalle sue mire che avesse verso il sottoposto del principe. Le sue attenzioni non gli erano sfuggite. Lei cosa ci avrebbe guadagnato in un semplice addetto baronale? L’interrogativo continuava a perseguitarlo. Una ragione plausibile doveva esserci. Un peccato che all’Eremo di S. Caterina non ci fossero le stalle con i cavalli per stare in buona compagnia. A tenerlo occupato ci furono i fumetti del “Piccolo ranger”. In quegli attimi quell’omicidio proseguiva a ronzargli in mente. Don Spataro era convinto che ci fosse un collegamento con la nobildonna di Mosca. L’ucriese era ritornato ad Angera con Faina. L’addetto doveva averla messa alle strette. Ylenia si lasciò convincere confessando l’omicidio commissionato dal suo paese. In realtà era una spia a servizio della Russia. In quel giovane semplice appariva aver ritrovato la sua innocenza perduta. La confessione fu sconcertante e disperata. Si era innamorata davvero dell’aiutante di Sajeti poiché doveva averle risvegliato alcuni valori persi. Il suo servitore Molnar Imre doveva averla seguita in quella corsa cieca che aveva condotto lui e la sua padrona all’interno del precipizio per amore. Un sentimento nascosto che non si era mai attenuato o avverato che disse solo a don Spataro quasi in confessione. Loro erano stati arrestati dall’insostituibile maresciallo Faina. In tanto aveva beffato tutti con l’aiuto dell’amico. A Varese erano persuasi che avrebbe impiegato dei mesi scoprire la verità. La situazione era tornata alla normalità. I baroni ripresero le loro attività con serenità. A Montecastello era tutto ripreso come d’abitudine.