Ray scrutò il cielo mettendo mano al binocolo. Il falco sbucò tra la foschia e l’ammasso di nuvolaglia bassa formatasi all’alba. Era partito dalla cima del ghiacciaio puntando verso il corso d’acqua.

Il vento era mutato a metà mattina, adesso spirava da nord-ovest a folate gelide. Dal punto in cui stava, Ray indietreggiò di una ventina di passi, spingendosi con i ramponi verso una spaccatura di pietra lavica oltre il banco di neve fresca che si era depositata sulla foresta di betulle nel corso della notte.

Il falco virò allungando le timoniere a mo’ di compasso, esibendosi poi in una lunga solenne picchiata verso la piana di sicomoro. Sembrava danzare, questo era quello che pensavi guardandolo.

Ray staccò dalla faccia per un istante il binocolo, per poi riprenderlo, appoggiandoselo ben saldo tra la fronte e il naso.

Il falco in caduta libera si scagliò come un proiettile, artigliando un piccolo mustelide che arrancava nella radura prima di riprendere la risalita per la volta celeste.

Sharry osservò tutta la scena da spettatrice a teatro, appollaiata nel suo plaid scozzese da sopra un dosso di latifoglie. Ray non disse nulla di più. Niente che potesse far trasparire ciò che veramente provava. Abbassò solo il binocolo lungo il petto. Staccandosi così dalla massicciata muovendo con cautela con i ramponi alla successiva gola. Il suo cuore ebbe minuscoli battiti contraendosi, ma fu un attimo. Un mero istante quasi inesistente, al confrontarsi a ciò che la Natura poteva offrire.