Filomena Ciavarella – Leggendo Venti di Nguyen Chi Trung

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Filomena Ciavarella – Leggendo Venti, del poeta Nguyen Chi Trung …

Il vento perfora il cuore, la mente e lo spirito del poeta Nguyen Chi Trung in una notte ventosa di novembre nel 1992.

La sua anima si trova a cospetto di se stessa, la tristezza si trasforma in lava incandescente che spacca le pietre fino al cuore del mondo, con la morte negli occhi.

I suoi versi sono corpi vivi infranti nel vento, capaci di far riemergere la vita dall’oblio.

Durante le stagioni dei monsoni a Saigon il vento soffia, sfiora come una “ninna nanna” la sua nostalgia, la sua tristezza di bambino.

La sensibilità di Nguyen Chi Trung s’infrange nella sofferenza, trabocca dall’orlo del cuore.

Cattura le emozioni, rompono il marmo freddo del cuore per trasformarlo in un magma di luce nel buio.

La sua voce, in un vento celeste, trasforma la tristezza in quadri.

Le emozioni si elevano in silenziosa preghiera, con la morte nell’illuminazione del momento finale della vita, con una forza empatica straordinaria.

Sono rivoli di lacrime che scendono dal cielo direttamente dalla mente e dal cuore, rompono gli argini della nostalgia, del dolore che in alcuni istanti si fa potente.

La cultura orientale ed occidentale trovano luce nella sua dimensione immaginaria.

La pioggia, la ricamatrice del cielo tocca la sua anima fino a mettergli nelle ossa e nel cuore il vento.

Sono versi forti, potenti, capaci di perforare il cuore.

Leggere “Venti” è come sfiorare con la mente un sogno materializzato, come forza infinita di cielo e luce.

Si può immaginare il vento soffiare con infinita forza la notte nella quale Nguyen Chi Trung giunse a Stoccarda nel 1967 in Germania.

Come il vento avvolgesse la sua mente e il suo cuore quando nel 1992, in una notte ventosa, scrive Venti in stato di trans.

Leggendo Venti: l’arte e la memoria

La sua poesia, come magma incandescente si fa voce, pensiero cuore. Perfora la roccia.

È un canto che possiede una forza leonina, alcune volte è lieve come rosa in una notte senza stelle.

La terra primitiva si porta il dolore nel cielo stracciato di umano.

L’arte è essenziale come “il fiume al pescatore”, come “la foresta al guardiano”.

Si consuma il regno dell’istante, senza devozione, senza gratitudine.

La storia, la memoria corrono come vento, bruciando il cielo, dilaniato dall’accidia senza senso, frantumato sulla terra arroventata del qui ed ora.

Il vento soffia nell’oscurità, con il cuore accecato “dalla pioggia incessante”, che scroscia fra “schianti e colpi nella notte”, presto arriverà la partenza mentre il vento continua a soffiare.

Sibila, parla sottovoce, si fa lieve, si fa immobile divora tutto come un buco nero, ma il cuore si “contorce sotto l’aguzzino del momento”, fra l’aridità che taglia la terra.

Il vento del sogno che con un urlo perfora la notte, “il mare insensibile”.

Arriva la pioggia, “la ricamatrice del cielo” e “il pastore dei bufali d’acqua”, si guardano “cuore a cuore per non dimenticarsi”.

Versi veramente inarrivabili, infiniti.

Leggendo Venti: La Transizione

Il vento si ode sotto “la coltre autunnale”, mentre il dolore esplode sul selciato prima di toccare la pozza sporca che giace sulla “lastra di pietra”.

E il vento continua a spirare con forza, ruggisce e accarezza i sogni di Chi Trung, il cuore spacca le pietre con un lavoro di gru, di anni, siamo “contenitori di transizione”.

Non sappiamo dove andare, non abbiamo idea delle “aree di solitudine”, “ciottoli nella cavità della terra” in buche incommensurabili, l’anima in esse forse sparisce.

Silke Joyce Ste ha messo in luce che il vento non ha la semplice materialità della natura, il blue di Trakl, il fiore di Quasimodo, ma si eleva sulla luna, il villaggio, il lutto, la pioggia, le foglie per diventare nullità, in un eterno andare e venire dalle acque del Gange, come madre fra la terra e il cielo.

Le foglie si perdono senza toccare “né pietra e né terra”, è svanita la meta, donarsi l’uno all’altro è troppo o forse nulla.

Spirano i venti su corpi vacillanti, il ricordo passa fra “immobili colonne blu”, non finisce e non vuole finire.

Si dilatano gli attimi mentre cambia la vita che non si lascia riempire fino all’orlo.

Sulla spiaggia rovente si fa cielo “la noce di cocco seccata”, mentre la vita è semplicemente lì, mentre il cuore e la mente svaniscono “in cenere e carbone con la dovuta devozione”.

L’istante si fa folgore di vita nella benedizione, nel ringraziamento. Continuano a spirare sulle vette inviolate, nei luoghi dove vanno i significati delle parole, prima del dominio dell’io e del tu, dove non c’era separazione.

Il dolore è intangibile, lo stesso dolore che il poeta affida fidandosi della parola e si fa portatore del dolore dell’altro.

Il cielo non ci abbandona ma non offre più protezione, mentre il ricordo va come il fiume dello spirito di ciò che muore e vive.

Il ricordo lambisce le rive dell’anima straziata, non permette di entrare in terre sconosciute, lontane.

I Venti trasportano se stessi e sopravvivono a se stessi “come il dolore nel tempo”, il dolore che arriva di notte “attraverso la carne nuda”, come una visitatrice silenziosa del “nostro corpo” nel buio.

La vita forse anela ad un significato o ad una parola.

Venti che fanno svanire l’amore come ogni evento della vita, tracce d’infinito avvinghiate alla “finestra dell’oceano”, nella santa distanza per intravedere la bellezza ancora viva, ancora fresca e non bruciata dall’istante che infiamma.

Spirano i venti fra le stanze del vuoto che invade ogni luogo, villaggi nascosti, protetti da “antiche foreste” o città del regno dell’opulenza.

Il cuore è pietra umana che si sta sgretolando, alcuni credono “nella pietra d’oro” come parola indistruttibile.

La sofferenza non ha tempo, danza con passo di morte.

Il nostro corpo è “l’esilio nell’indicibile” che spazza via ogni cosa, ma fino a quando?

Venti che materializzato i sogni, “nell’attacco della morte”, mentre gli attimi spasimano, senza trovare congedo, le onde dal deserto del mare che ci fanno intravedere l’origine, in una visione dove ogni cosa ritrova la propria dimensione quasi pacificata.

La metamorfosi giace sepolta, le storie antiche bisbigliano “come millenario muschio antico”, nulla si possiede.

Leggendo Venti di Nguyen Chi Trung: La ricerca metafisica

La disperazione dell’intimo cuore, la preghiera che sostituiamo alla poesia riesce ad obliare la condizione umana, ma fino a quando?

È come una forza immateriale, porta via il meriggio e “il ronzio degli intelletti inquieti”, che ci fa percepire “il fruscio delle foglie essiccate di bambù”.

Mentre il sangue scorre oltre la frattura del cuore, il grido dell’uomo tocca il cielo.

Parole scritte con lacrime “nere d’inchiostro” si fanno anima in secoli di storia.

Viviamo la vita e ci portiamo la fine non solo nella carne. Noi che alla data di oggi dichiariamo che la nostra storia è completa, ma non è ancora giunta alla fine.

Il cuore vuole ancora immaginare, è ancora abbastanza grande, mentre giace nel vuoto “come uno scoglio” saluta le onde tempestose nel buio “utile alla notte”.

La carne si consuma nel fiume dell’infinito, la lingua non esaurisce la superficialità, questa breve durata dell’esistenza che evapora nel foglio dell’ultimo verso prima di morire.

La carne si consuma, svanisce nel fiume dell’eternità, nell’infinita corrente del non essere?

Quale poeta può rappresentare tutto il dolore su un foglio di carta stracciato, che si ricompone nel filo dipanato in un labirinto.

I venti ululano per avvolgere il riverbero della luce, portatori di pioggia insieme al continuo tormento del cuore, esplodono in una canzone innocente “su una foglia inviolata”.

Venti che viaggiano su foreste vergini, sui rami distesi degli alberi e i cespugli del deserto, ora fogli di carta e testamento dei mortali, si lamentano e piangono, come un ronzio di cicale nelle notti d’estate.

Perdono vigore nel tempo ma ancora non sono consumati, mentre soffiano gelo nelle “ossa dal sangue prosciugato”, corrose da tempo immemore.

Si potrà mai spazzare via l’amore o il “concetto dell’amore” definitivamente in questo regno di transizione?

Il nostro cuore non dovrà più cercare se stesso, la passione è effimera, evapora con il tempo, rimane la parola, siamo detentori di una transizione, forse il cuore è troppo grande per le cose del mondo.

Nel momento finale della vita i tempi “delle ceneri” si adagiano, in un moto vorticoso, nell’ultimo porto per riposare.

Gli elementi naturali si elevano in pulviscolo di luce, in moto perpetuo dove le domande metafisiche non si spengono mai.

La fragilità, della vita umana, si fa universo nel sole inviolato dell’illuminazione orientale.

Le domande non finiscono. Il dove, il quando perennemente emergono dall’oceano profondo, con musicalità continua.

Venti che come bassa marea prolungano la pena, dov’è “ la padrona del dolore”?

Venti che si allontanano dalla “chiarezza di poca durata”, scolpiscono “la nostra carne “ di anima e la fanno giacere folgorata dal dolore.

La separazione avviene di continuo e l’assenza di chi ama la terra si fa “assenza di poesia”.

La natura è connessa con gli spazi vuoti, le altezze coperte dal velo di Maya.

Ogni parola possiede un segreto indicibile, inimmaginabile. Va oltre la natura silenziosa di Leopardi, è un vortice che ci porta nell’infinito cosmico.

Il vento si fa forza che soffia sulla terra, perché si è acquietata “per la perdita di noi stessi” e che non ci lascia vivere.

Straordinaria bellezza che non si sposa con il talento.

Scrivere è solo un lamento e la poesia resta faccia a faccia con il nulla.

Il poeta non dimentica l’ora finale, “il mezzogiorno d’estate” fra “l’aria che oscilla ”, fra rivoli di cuore anche quando la dimenticanza gli fa visita di notte.

La voce del poeta si fa infinita quando ci invita a buttare la vita nel vento, lasciando che evolva e sia dimenticata.