La neve aveva smesso di cadere da due giorni, ma l’atmosfera ovattata sembrava non voler lasciare le campagne intorno a Bologna.
Le giornate avevano appena cominciato ad allugarsi e Tosca stava passeggiando godendosi la poesia di un tramonto rosa-azzurro che si rifletteva sui prati imbiancati. Erano passati quasi tre mesi dall’armistizio di Compiègne e dopo anni di lavoro in fabbrica a preparare munizioni Tosca non poteva più fare a meno di quei tragitti in libertà tra casa sua e la fabbrica tessile dove era stata trasferita alla fine del conflitto. Sapeva di essere stata più fortunata di tante sue amiche ed era grata per ogni momento. Si stava perdendo in questi pensieri e nel paesaggio surreale quando la sua attenzione fu attirata da un fievole suono, simile al pianto di un gatto.
Tosca chiuse gli occhi per concentrarsi sulla provenienza del lamento e corse in quella direzione: non era raro trovare animali in difficoltà dopo le gelate e le nevicate degli ultimi giorni.
Udì un verso più forte mentre si avvicinava e poi , all’improvviso, il silenzio.
Corse ancora più veloce e rimase quasi pietrificata davanti a un cesto traboccante di coperte abbandonato sotto a un albero. Aprì quel fagotto di lana e anziché un gatto trovò un neonato immobile, pallido in viso e con le manine gelate. Lo strinse forte a sé, tra il vestito ed il cappotto, pregando che il calore del suo corpo fosse di sollievo al piccolo. Sentirlo muoversi e piangere dopo qualche minuto di contatto fisico la fece felice come niente altro al mondo aveva mai fatto prima.
Non sapendo cosa fare si diresse verso la chiesa del paese, il prete avrebbe saputo consigliarla al meglio. Camminò molto piano, facendo attenzione ad ogni passo, raccontava al piccolo e a sé stessa che non lo voleva spaventare né voleva rischiare di farlo cadere a causa del ghiaccio, anche se in fondo al suo cuore desiderava che quella passeggiata fosse eterna.
Bussò al portone della canonica e Don Basilio arrivò subito ad aprirle: non aveva perso la celerità di correre per aiutare profughi e soldati feriti, nemmeno ora che la guerra era finita.
Don Basilio, visto il contenuto del fagotto, fece sedere Tosca sul divano davanti al caminetto acceso e scaldò del latte sul fuoco.
La giovane donna gli raccontò del pianto e del ritrovamento, delle manine fredde e di come il piccolo si era ripreso grazie al suo calore.
Don Basilio sembrava ascoltarla con interesse, ma era più concentrato sui suoi gesti che sulle sue parole: il modo in cui stringeva il bambino a sé, la delicatezza nell’inclinare il biberon, il dito immobile di lei che stringeva nel suo pugnetto morbido.
Tosca viveva con l’uomo che aveva sposato poco prima che partisse per il fronte, erano giovani e senza figli. Per Don Basilio fu naturale chiederle se voleva prendersi cura del bambino, e lo fu ancor di più per lei accettare la proposta: suo marito era un brav’uomo, desiderava una famiglia numerosa e non si sarebbe opposto. Tosca corse a casa e ne parlò con lui. Aveva visto tante cose brutte in guerra e tutto quello che desiderava era una vita felice con la donna che amava.
Andarono a prendere il bambino da Don Basilio la sera stessa.
“ Come lo chiamerete ? “
“ Gelido. “ rispose Tosca
Questo è il motivo per cui mio nonno ha un nome così strano. Ebbe una vita lunga e piena di soddisfazioni, ma questa è tutta un’altra storia.
———