Il mondo di fronte al terrorismo

Il coraggio e la speranza: La supplica del futuro

Dopo le stragi e l’orrore non rimane che reagire.

Quando la paura inibisce il pensiero, il quotidiano scade nell’impossibile. Non sono state poche le volte in cui il mondo si è fermato a chiedersi se valesse ancora la luce del giorno, in un lago di terrore e sangue.

Dopo gli attacchi di Nizza dello scorso anno, quelle brutali di Aleppo e quelli di Londra del trascorso 22 marzo, anche le coscienze più irruenti sembrano affievolite. In fondo, non esiste paese a rischio zero e, nonostante le fatiche dei servizi di intelligence, i lupi solitari attendono nell’ombra l’incresparsi di qualche faglia, deridendo la donchisciottesca lotta al nulla. Le escalation sono ormai all’ordine del giorno, anche se fiumi di parole sono cadute sull’argomento, niente sembra arrestare la fame di terrore. È questo il dono che si farà ai giovani che domani chiederanno il coraggio e la speranza?

Quante volte il mondo è stato scosso dall’orrore e, dopo infinite trepidazioni, rialzandosi ha difeso la sua libertà?

È ormai una guerra aperta all’Occidente da anni, anche se appare dispersa in Siria o sporadica come in Inghilterra e Russia. Con largo anticipo una giornalista si è espressa sul destino dei luminari del progresso e del buonismo: «La strage toccherà davvero anche a noi, la prossima volta toccherà davvero a noi? Oh, sì. Non ne ho il minimo dubbio. Non l’ho mai avuto. E aggiungo: non ci hanno ancora attaccato in quanto avevano bisogno della landing-zone, della testa di ponte, del comodo avamposto che si chiama Italia. Comodo geograficamente perché è il più vicino al Medio Oriente e all’Africa cioè ai Paesi che forniscono il grosso della truppa. Comodo strategicamente perché a quella truppa offriamo buonismo e collaborazionismo, coglioneria e viltà. Ma presto si scateneranno.

Molti italiani non ci credono ancora» (Oriana Fallaci).

Queste parole, che accompagnano l’Occidente dall’11 settembre 2001, saranno sirene sulle cattedrali delle chiese, se il mondo non decide di reagire. Si riuscirà a pensare ancora al terzo comma dell’art. 10 della sanguinosa e combattuta Costituzione italiana, dopo che il nemico-amico griderà “Allahu Akbar” e farà scempio dei popoli?

Le tesi più moderate grondano di prudenza, quelle più violente sventolano l’immediata espulsione degli immigrati. L’etica nicomachea propone una timida soluzione alla disputa spinosa, “in medio stat virtus” (La verità sta in mezzo). Proteggere non si traduce in violenza o rifiuto, ma nemmeno nell’immobilismo. Si conoscono già i rischi connessi all’accoglienza incondizionata, il mondo apra gli occhi. Ci si chieda in questo momento storico, se per caso, questo flusso umano in realtà non sia solo un modo per avere logisticamente un punto di inizio.

Da cosa fuggono? Perché l’Italia rappresenta l’approdo ideale?

Si potrà allora avere il sentore di marcio. L’Italia che funge da accesso della fantomatica Europa, baluardo della cultura più antica, si stringa a corte ancora una volta per difendere la bellezza da cedere ai suoi figli, anche se con la paura addosso e il cuore che sobbalza. Si faccia carico delle sue responsabilità, in modo che il futuro non possa spaventare, in modo che il passato non venga a rimproverare l’impassibilità, che i tempi moderni hanno partorito, in modo che la naturalezza del quotidiano diventi quel divino che tanto si è infangato, e si potrà ancora singing in the rain. Il fumo della paura può annebbiare, ma la vista più acuta è data alla speranza che costruisce sul vuoto fugace.