Il giorno della laurea

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Tra poche ore mia madre si alzerà, salirà su quel treno e racconterà a tutti che oggi è una giornata importante.

Mi sembra quasi di sentirla. “Oggi mio figlio, il mio adorato figlio, diventerà dottore!”

Molto commovente.

Peccato che domattina non ci sarà nessuna laurea.

O meglio, non ci sarà nessuna laurea per lei.

Questo deve essere un momento tutto mio. Solo mio. Da non dividere con nessun altro.

Che merito ha lei nei miei successi scolastici?  Cosa ha fatto per aiutarmi?

Nulla.

Ah, se fosse ancora vivo mio padre.

Lui sì che ne sarebbe orgoglioso.

Lui mi aveva spinto a frequentare il Liceo Classico.

Lui mi ripeteva sempre che bisogna credere ai propri sogni.

E il mio sogno è sempre stato solamente uno. Studiare medicina e diventare pediatra.

Troppe volte avevo sentito la storia del mio fratellino morto prima che arrivassi io.

Papà invece non ci sarà.

É morto.

Da sei anni ormai.

All’improvviso.  Il giorno prima del mio orale all’esame di maturità.

La mattina si era alzato per aiutarmi a ripassare. Aveva bevuto una spremuta ed era morto davanti ai miei occhi. Infarto fulminante.

Con la morte nel cuore, eh sì ho sempre amato questo umorismo nero, avevo sostenuto l’esame ed ero uscito con il massimo dei voti.

Magra consolazione.  La mia cara mammina, ora tanto fiera di me, neppure si era complimentata.

Talvolta quando penso che forse sono troppo duro con lei mi tornano in mente le sue parole.

“Vatti a cercare un lavoro. Io sono stanca di mantenerti. L’istruzione era un’idea fissa di tuo padre. Tuo padre! Brav’uomo ma con la testa sulle nuvole. Non ci ha lasciato nulla. Solo debiti.  E io non ho nessuna intenzione di farne altri”.

A me papà era sempre sembrato un uomo oculato. Non mi aveva mai fatto mancare nulla, ma neppure avevo avuto niente di superfluo. Però cosa potevo risponderle? Forse aveva ragione lei.

Non mi ero perso d’animo. Avevo cominciato a lavorare in pizzeria di sera e a dare ripetizioni di giorno.

Poi avevo vinto una borsa di studio.

Nel frattempo, la mammina, si era consolata in fretta. Poche settimane dopo la morte di papà aveva cominciato a uscire con un certo Gigi.

La borsa di studio prevedeva la possibilità di andare a vivere in un collegio universitario. Avevo colto l’occasione al volo.

Mamma non aveva fatto nulla per fermarmi.

Anzi.

La facoltà di medicina era solamente a un paio d’ore di treno, ma lei non era mai venuta a trovarmi e neppure aveva provato a telefonarmi.

Io avevo fatto lo stesso.

Tra studio, lavoro e ripetizioni non avevo quasi neppure il tempo di dormire. Figurarsi di cercare di farmi amare da mia madre.  Da lei che mi aveva sempre odiato.

Poi era riapparsa.

Si era presentata all’Università, dopo il mio ultimo esame.

Non l’avevo quasi riconosciuta. Non la vedevo ormai da cinque anni ma sembrava proprio un’altra persona.

Più magra. Con una strana luce negli occhi.  Avevo cercato di evitarla, ma lei non aveva voluto sentire ragioni.

Mi aveva raccontato che aveva dei problemi di salute e che grazie a Gigi, che faceva l’assicuratore, era riuscita a stipulare una polizza sulla vita.

Quando sarebbe morta, avrei potuto incassare una bella cifra.

Sapeva che era stata una cattiva madre ma quello era il suo regalo per farsi perdonare.

Io avevo cercato di dirle che i suoi soldi non li volevo, che era meglio se non ci fossimo più visti, che li lasciasse al suo caro Gigi. Non c’era stato nulla da fare.

Avevo firmato quelle carte senza guardarle e le avevo chiesto di non farsi più vedere.

Così era stato.

Fino a una settimana fa.

Mi aveva chiamato in collegio. Io non le avevo risposto.

Al centralino, però, le avevano detto che stavo per laurearmi.

Da allora aveva cominciato a chiamarmi ogni giorno. Voleva esserci.

Io le avevo detto che non volevo che venisse. Era una cosa solo mia.

Alla fine, avevo ceduto. Sarei andato a prenderla in stazione la mattina. L’avrei accompagnata all’Università, poi sarei andato a prepararmi e avremmo festeggiato insieme.

Questo era quello che credeva lei.

Visto che doveva morire e lasciarmi i soldi, tanto valeva che succedesse il prima possibile.

Quei soldi mi servivano per la specializzazione.

Un incidente all’Università, proprio prima della laurea del figlio.

Che tragedia. Povera donna.

E che sfortuna quel giovane.

Prima il padre e poi la madre. Certo che la vita è proprio ingiusta.

E ora, finalmente, eccomi qui.

“Proclamo il signor Paolo Riva dottore in medicina e chirurgia con la votazione di 110 e lode”.

Trattengo a stento le lacrime.

“Coraggio” mi dice il relatore.

Comincio a pensare alle parole giuste.

Cosa dire dopo una cerimonia di laurea postuma?

Povero Paolo, stroncato da un infarto davanti ai miei occhi.

Proprio come il padre.

Beh, se ha funzionato una volta, perché non usare lo stesso veleno?

Due gocce nella spremuta e la morte quasi istantanea.

Chissà perché aveva insistito che ci trovassimo prima della proclamazione.

Io avrei voluto che si godesse almeno quel momento, ma poi non ho resistito alla tentazione.

Meglio cogliere l’occasione subito.

Quei soldi mi servivano. Quelli di suo padre li avevo finiti ormai.

Era tempo di incassare anche l’assicurazione sulla vita che gli avevo fatto firmare.

Paolo. Tanto buono. Tanto ingenuo.

Forse aveva preso dalla sua vera madre.

Io non l’avevo mai voluto ma Franco aveva tanto insistito per adottarlo.

E poi aveva pensato solo a lui.

Sempre a lui.

Io neppure esistevo.

“Sì. È molto difficile. Era il mio tesoro e lo sarà per sempre. Quello che mi lasciato non lo scorderò mai” gli rispondo, trattenendo le risate.

Il professore sembra sull’orlo del pianto.

Mi dice “Era veramente un bravo ragazzo. Se mai mi fossi sposato, avrei voluto un figlio come lui. Era sempre stato così dotato nello studio? Se la sente di parlarmi di lui?”.

È un bell’uomo, anche se di una certa età.

Potrebbe essere un buon partito. Il denaro dell’assicurazione non potrà durare in eterno e io non posso più contare su Gigi dopo il suo incidente.

“Sarà un piacere per me. Paolo mi parlava sempre di lei professore”.