Il mistero degli orecchini

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Gli orecchini non c’erano più nella cassaforte chiusa a chiave da lei stessa e quella scoperta, quella mattina di ottobre, nell’appartamento di sua madre fu per lei una rivelazione. Guardò e tastò il nero velluto che rivestiva quella custodia metallica a parete, dove non mancavano gli altri oggetti preziosi, una spilla ed una collana in oro. In una scatolina di cartone al posto degli orecchini aveva trovato un bracciale di scarso valore in pietre dure. Elena era da sola in casa e si accasciò sulla sedia verde a ridosso della parete in cui era collocata la cassetta e nel silenzio si diede un’unica incredibile spiegazione.

Dopo alcuni momenti di sbigottimento si era alzata, aveva dato una rapida occhiata alle stanze vuote ed oscure, dove si sentiva ancora l’odore di pulito che emanava la madre, quell’aria profumata che l’aveva contraddistinta in vita sembrava aver impregnato di sé l’aria della casa, sembrava che la madre vivesse ancora lì. Non c’erano tracce di sangue, né altro segno di quanto era accaduto. Chiuse la porta d’ingresso dietro di sé e scese le scale, ripensando a quello che aveva scoperto.

Anna era morta due settimane prima in ospedale, dopo un inevitabile intervento chirurgico al cervello, per un’emorragia invasiva ed inarrestabile. Era caduta proprio nella casa, dove aveva vissuto, da quando aveva perso il marito qualche anno prima.
Nicoletta, così l’aveva chiamata per tutta la vita Nino, era una dolce e gentile donna, che aveva superato l’ottantina, nonostante una vita tormentata e sette gravidanze, che le avevano alterato i contorni del corpo, in gioventù proporzionati ed armoniosi, così come appariva nella foto, che la ritraeva in abito da sposa, accanto al marito e sotto il braccio della matrigna di lui.

Il viso giovanile e signorile di Anna, nonostante la veneranda età, era incorniciato da capelli corti, sottili, radi e argentei, che delimitavano un incarnato dalla pelle ancora chiara e morbida, profumata e delicata come quella di una bambina.
Aveva sempre curato il suo aspetto, preferendo un abbigliamento semplice e sobrio, arricchito solo da elementi di pregiata bigiotteria, tra cui le sue care collane di giada, quarzo, ametista, corniola, collane di perle, di stoffa, di plastica, di legno, d’argento, d’acciaio e di corno.
Elena, ricordava che la madre in gioventù, quando faceva la messa in piega a casa con i bigodini, non si faceva mai vedere dal marito al suo rientro a casa. Ci teneva a comparirgli davanti sempre in ordine.
-Elena, mi aiuti a mettere i bigodini? Là nel cassetto ci sono i becchi di cicogna! – e indicava alla figlia quegli attrezzi di bellezza. Fantastici quegli spadini di alluminio, lunghi poco meno di un mignolo, che divaricavano le sottili gambe di metallo, per fissare le ciocche di capelli intorno a quei rotolini di plastica colorati.
Quante volte la giovane donna aveva osservato i suoi genitori in quella foto che li aveva immortalati il giorno del sì.

La madre, dopo la morte del marito, l’aveva posizionata nella sua camera da letto, sul tavolino accanto all’armadio, circondata da altre foto, incorniciate in portaritratti, a lei molto care, come la cornice d’argento cesellato in piccole e delicate conchiglie a rilievo, che accoglieva l’immagine di un’altra figlia, morta anni prima per un aneurisma.
Anna amava quella casa in Irpinia, lassù al paese, dove circondata dalle premure dell’unica figlia, che le era rimasta accanto, conduceva i suoi giorni, gli ultimi senza la presenza del marito, il cui rapporto non era stato per niente idilliaco, anche se intriso di sentimento, amore e passione, durato ben sessantatré anni.

Anna aveva vissuto in compagnia di due signore, Claudia ed Emanuela, reciprocamente madre e figlia, che si alternavano durante la giornata e la notte. Emanuela, giovane e bella, alta e chiara di pelle, ricordava per i suoi caldi e chiari colori la primogenita Angela ed aveva trovato piena accoglienza ed accettazione presso l’anziana donna. Emanuela, madre di due maschietti, aveva già conosciuto i due anziani coniugi in precedenza, perché spesso si era recata da loro, per compiere le pulizie nell’appartamento. Elena avrebbe voluto tanto che Emanuela, quando il padre era ancora in vita, si occupasse quotidianamente delle loro necessità, ma il padre, quasi novantenne, si era sempre opposto. Quante lotte, quante preoccupazioni avevano dilaniato la giovane, che avrebbe voluto una vita più tranquilla e sicura per i suoi genitori, che avevano acquistato quella casa in alta Irpinia, proprio perché Anna sapeva di poter contare sulla vicinanza di Elena, negli anni della sua vecchiezza.

Emanuela si era resa quindi subito disponibile ad alternarsi accanto ad Anna insieme alla madre, all’indomani della morte del padre di Elena.

Elena, sensibile ed ansiosa, aveva preferito dividersi tra la sua famiglia e la madre pur di evitare conflitti ed inutili disagi ad entrambe le parti.
Aveva preferito fare in modo che la madre continuasse a vivere nella sua casa, dove avrebbe potuto gestire il suo tempo ed il suo spazio senza condizionamenti.
Elena non le aveva fatto mancare mai nulla, assumendosi tutte le responsabilità per garantirle benessere e tranquillità in un’età assai delicata.
Ogni settimana si organizzava con una infermiera del paese ,per fare il prelievo ematico alla madre, per verificarne il livello di coagulazione del sangue e regolare, in base ai risultati, il dosaggio di un farmaco, che però tra le controindicazioni presentava il rischio di micro emorragie interne. Il medico del nosocomio, l’aveva definito “veleno per topi”.

Signora, il preciso dosaggio deve essere dato sempre all’ora indicata, perché questo farmaco può provocare emorragie interne, come fa il veleno che uccide i ratti, l’avvertì un pomeriggio con serietà il medico.

Ogni lunedì o meglio ogni dieci giorni circa Elena, dopo il lavoro saliva con l’auto fino alla casa della madre, dove incontrava l’infermiera, per effettuare il prelievo ematico alla madre e portarlo poi di persona in ospedale.
Insomma lei cercava di non trascurare né la madre né la famiglia, conciliando il tutto anche con il suo lavoro di insegnante di Lettere in un liceo. Una grande fatica, che non le pesava.
Elena era una bella donna molto riservata, abituata a far fronte alle esigenze degli altri, soprattutto a quelli della madre. Era stata per lei sempre un punto di riferimento fin da quando era bambina.

Elena, quindi, in occasione del compleanno della madre, conoscendo la passione di Anna per i monili, aveva scelto in una gioielleria un paio di orecchini d’argento, dopo averne ammirati molti sugli espositori. Si trattava di un modello molto particolare di pendenti: una perla circolare, leggermente schiacciata, emergente da una raggiera di fili d’argento, ricurvi e fusi dietro una perla di lattea madreperla. La donna era rimasta affascinata da quegli orecchini e, sicura che sarebbero piaciuti tanto anche alla madre, li aveva acquistati senza esitare. Il giovane gioielliere, che l’aveva servita li aveva riposti con garbo in una morbida carta velina bianca prima ed in un raffinato astuccio poi.
Anna era rimasta affascinata e commossa dal regalo della figlia e spesso aveva indossato quegli orecchini sobri ed eleganti, anche quando stava in casa, tanto che un giorno uno di essi si ruppe.

La donna ci restò male e non vedeva l’ora che fossero riparati. Ogni giorno durante le telefonate quotidiane: – Elena, hai portato gli orecchini? Chissà quando saranno pronti! –
Tra tutte le faccende da sbrigare anche quell’impegno si aggiunse, ma lei non si spazientiva mai. – Mamma, abbi pazienza, dammi qualche giorno e vado.
Elena così un pomeriggio si recò in gioielleria perché si provvedesse alla saldatura di un filamento d’argento al corpo dell’orecchino. Salvatore, il gioielliere la rassicurò che sarebbero tornati belli come nuovi.

Trascorsero alcuni giorni ed una sera purtroppo accadde l’irreparabile, l’ineludibile caduta di Anna in casa, dovuta a quelle maledette micro emorragie subdole, generate dal Cumadin, un farmaco che da un lato salva la vita e da un lato genera perdite ematiche nell’organismo.
Elena quella sera era salita al paese a trovare la madre e poi se ne era andata.
– Signora Claudia, che ne dite se andiamo a dormire? -Anna era stanca.
– Va bene, come volete… – erano le otto e mezzo circa ed in televisione nulla di particolare…la stanchezza si faceva sentire ed il corpo pesante come uno scafandro richiedeva il letto.
– Venite, appoggiatevi a me…le aveva detto la donna e tutte e due, arrancando lungo il piccolo corridoio, avevano raggiunto la camera da letto con il comò posizionato sulla destra accanto agli infissi della porta.

Un attimo le costò la vita e la donna, perdendo l’equilibrio, urtò lo spigolo del comò, mentre un rivolo di sangue emerse dalla tempia destra. La signora Claudia fece appena in tempo ad accostarla al letto…dove Elena, chiamata d’urgenza la trovò distesa. La signora Claudia aveva chiamato immediatamente una vicina di casa, che aveva telefonato subito ad Elena.
Furono attimi terribili in cui la freddezza delle emozioni doveva guidare la figlia sul da farsi. Fu una lotta contro il tempo… l’autoambulanza sopravvenne subito, Anna fu caricata sul veicolo e nel buio di quelle strade di montagna, Elena condusse l’auto da sola, seguendo a breve distanza l’ululato della sirena.

In ospedale non ci fu niente da fare, nonostante le cure…l’emorragia provocò crisi epilettiche sempre più frequenti, tanto che il medico, che non avrebbe voluto operarla, fu costretto a farlo.
Anna superò l’operazione, ma non uscì viva dalla terapia intensiva. Vi trascorse dieci giorni circa, durante i quali una sera Elena, come buon auspicio per la guarigione della madre, andò a ritirare gli orecchini in gioielleria, dove furono riposti delicatamente nella carta velina dal giovane che la servì.
La donna l’indomani, salì a casa della madre e ripose nella cassaforte, collocata nel muro, con l’unica chiave esistente in suo possesso, il pacchetto con gli orecchini, in un astuccio tra altri oggetti di valore. Richiuse lo sportello e coprì con il quadro che da sempre riparava da occhi indiscreti quel piccolo forziere a parete.

Immaginava già la felicità della madre, quando li avrebbe rivisti riparati e splendidi.

Invece le cose non andarono così. Anna abbandonò un pomeriggio le cure inflitte in terapia intensiva e non si svegliò più.
Dopo il decesso Elena, nonostante il dolore per la perdita, dovette occuparsi di una serie di atti connessi all’evento, che la tennero lontana dalla casa della madre per quasi un mese, poi un giorno vi tornò da sola.
Il profumo di Anna l’avvolse, quando entrò nell’appartamento, pulito ed ordinato come se fosse stato appena rigovernato. Anna ci teneva tanto…
Elena, colpita dai pavimenti lucidi e senza polvere, fece una ricognizione e si diresse poi verso la cassaforte, per assicurarsi che non mancasse nulla… Le avevano consigliato di controllare, perché lasciare per tanto tempo incustodito e disabitato un appartamento non era prudente… qualcuno avrebbe potuto sfondare la porta d’ingresso e rubare.

Tolse il quadro con i fiori, infilò l’unica chiave, posseduta dalla madre e che lei aveva dovuto prendere quando l’aveva ricoverata, ed aprì lo sportellino. Prese l’astuccio dove aveva riposto gli orecchini, ma non vide la carta velina…non c’era nessun pacchetto, nessun paio di orecchini, ma al loro posto nell’astuccio, Elena trovò un sacchetto di stoffa, che custodiva un bracciale di pietre fredde, che lei stessa aveva regalato alla madre in qualche altra occasione. Non mancava nulla più… la collana e la spilla erano tutte lì…non mancava altro.

Chi aveva preso gli orecchini?

Estrasse tutto dalla cassaforte, affondò la mano nel vuoto buio del piccolo vano, ma nulla sentì al tatto e nulla vide. Gli orecchini, che lei stessa vi aveva riposto, erano scomparsi.
Elena si sedette sulla sedia verde, che troneggiava da sempre sotto la cassaforte, e fu subito sicura di un fatto: l’anima della madre, prima di lasciare la terra, era passata dalla sua casa ed aveva preso e portato via con sé, in un’altra dimensione, gli orecchini che le erano piaciuti tanto, segno dell’amore grande di Elena, alla quale aveva voluto lasciare la prova di un’esistenza al di là del visibile.

La madre, ed Elena ne era sicura, aveva voluto salutarla così.


Il mistero degli orecchini

Elena Opromolla