Il vento e gli aquiloni. La bellezza del viaggio.

Che ci vado a fare in un posto dimenticato quasi anche da Dio?

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il vento e gli aquiloni

il vento e gli aquiloni – Racconto di Viviana Santovito

Era il giorno di Pasquetta 2018 ed ero molto annoiata. Stavo trascorrendo la mia giornata a casa, immersa nello studio per un esame che avrei sostenuto quattro giorni dopo, e come ogni studente universitario che si rispetti, usavo i momenti di pausa per navigare su Facebook. Fu lì che vidi quell’annuncio. Una tale associazione Gentle Giant cercava dei ragazzi italiani per partecipare ad uno scambio Erasmus+ a Levelek, un paesino sperduto in Ungheria.

Ero in preda al mal di testa da una parte e all’ansia pre-esame dall’altra; tuttavia, mandai subito la mia candidatura.

Ed eccomi qui, più di un mese dopo, in una cittadina di quattromila anime in una regione dal nome impronunciabile a due passi da Romania e Ucraina. Perché mai avrei dovuto essere qui? Questa non è Budapest, o Praga, o Berlino. Che ci vado a fare in un posto dimenticato quasi anche da Dio? Ma questo è il punto: i posti dimenticati da Dio sono tali perché non si prestano all’usa e getta del turista.

Siamo bravissimi a riempirci la bocca con il termine “viaggio”, ma quanto è comodo viaggiare dove tutti si recano? Quanto è confortante scattarsi l’accademico selfie davanti a quei monumenti e quelle vie, che a forza di comparire in ogni dove sono diventati parte del nostro immaginario?

No, questo non è “viaggio”.

Il viaggio richiede coraggio, capacità di avventurarsi al di fuori dei propri confini, non solo fisici, ma soprattutto mentali. Il viaggio è scioccante, sorprendente, anche brutale. Si può definire “viaggiatore” colui che ha vagato in lungo e in largo ma senza sentirsi straniero almeno una volta? Senza rimanere lì sul sedile di un treno regionale, ammutolito da un idioma sconosciuto che ti circonda e ti pervade? E può definirsi “viaggiatore” colui che ha interagito solo con hostess, operatori turistici e ristoratori? La bellezza del viaggio è proprio questa. Essere aperti a tutto ciò che può venirti incontro, come una passeggera su un treno svizzero che ti parla in francese e tu non capisci niente, ma continui a sorridere, con quella complicità tipica di chi si sposta sullo stesso mezzo di trasporto.

Quante volte, sulla strada, ci viene offerta la possibilità di superare noi stessi e aprirci al mondo, e quante volte rifiutiamo per pigrizia, paura o pregiudizio? Viaggiare, in fin dei conti, vuol dire aprirsi come un aquilone e lasciarsi trasportare dal vento; ma si sa, il vento agli uomini piccoli fa paura.

Il vento e gli aquiloni. Di Viviana Santovito