L’incontro. Il valao nella Rocinha è una zona nella quale la gente passa a piedi e in motorino o in moto, accanto a un canale stracarico di acqua di fogna a cielo aperto.
Davanti al canale, negozietti di verdura, spiedini di salsiccia di porco e pollo, piccoli mini market e bar con gente seduta che sorseggia birra e cachaça. Camminando per il valao verso il cuore della favela si giunge ad una casa verde, davanti alla quale i narcotrafficanti, armati fino ai denti, vendono erba e coca.
Oggi sono tutti ubriachi, sono tutti fatti.
Sono una quindicina disposti tipo banda rock: il frontman è il capo del settore, della zona, e agita ritmicamente un fucile verso il cielo, balla al ritmo di una canzone funk della favela. E’ felice, strafatto. Ai suoi piedi c’è una bottiglia di whisky piena per la metà. Passa il fucile dalla mano destra alla sinistra e viceversa, e lo agita verso l’altro inneggiando a qualcosa, forse alla fazione che rappresenta. Dietro e di fianco a lui i suoi compari lo imitano, ballando e sbevazzando come pazzi assetati di avventure, di potere … I suoi colleghi sono disposti a raggiera dietro di lui, o a cono. Nessuno si azzarda a togliergli la posizione principale, quella di frontman, e tutti cercano di imitarne la movenze.
Davanti ai narcos passa un prete italiano, Don Matteo (barba lunga, capelli da frate con la chierica) accompagnato da una guida della favela, un signore sui cinquanta, nato, vissuto e cresciuto nella Rocinha.
Don Matteo ha chiesto alla guida di portarlo nelle zone più pericolose perché vuole conoscere l’essenza della favela, vuole vedere, fissare il male da vicino per poi decidere quale direzione prendere per aiutare i giovani della Rocinha, intento che lo muove da anni, da quando cioè è partito, missionario, dall’Italia.
La guida brasiliana lo ha avvisato: gli equilibri di potere stanno cambiando. Il nuovo maggiore della Polizia ha dichiarato guerra ai narcotrafficanti. Tutto è avvenuto molto in fretta: il maggiore Rodrigues si è insediato nell’incarico portando con sé qualche poliziotto fedele (Rodrigues sa che sarà accerchiato da poliziotti corrotti). Pochi giorni dopo Rogerio, il capo del narcotraffico (che obbedisce a un altro capo, Ney, in prigione a Bangu, zona ovest di Rio) ha fatto pervenire al Maggiore il seguente messaggio:
“Ti diamo 150mila reais a settimana se ci lasci in pace”.
E Rodrigues, in risposta, ha fatto recapitare a Rogerio il seguente messaggio: “Quei 150mila usali per comprare nuovi proiettili. Ti serviranno”.
Per questo i narcos ostentano l’uso delle armi (dopo un lungo periodo di vendita “discreta” delle droghe), perché sono pronti ad uno scontro che può avvenire in qualsiasi momento. Anche se sono consapevoli che Rodrigues non avrà vita facile. Lo Stato di Rio de Janeiro è fallito e lui non ha i soldi per cambiare tutta la truppa. Può cambiare qualche uomo, può affidarsi ai più fedeli ma la maggioranza dei poliziotti che pattugliano la favela è d’accordo con i trafficanti.
Don Matteo e la sua guida passano davanti alla casa verde del valao e il prete italiano lancia uno sguardo caritatevole e curioso verso il frontman del gruppo (braccio destro di Rogerio): bermuda, torso nudo, occhi infuocati, pelato esattamente come lui come Don Matteo, se si facesse crescere la barba qualcuno potrebbe dire che sono cugini. Bianco di pelle, né magro né grasso, un bel fisico, atletico … La guida tira la manica della felpa di Don Matteo e i due superano il manipolo di narcotrafficanti ed entrano in un vicolo minuscolo, poi saltano su un ponticello che passa sopra il rigagnolo di fogna pieno di scatole, di detersivi, di lattine. Don Matteo fissa un gatto magro, appollaiato su un muro. Il gatto magro fissa Don Matteo.
La guida taglia verso destra e poi verso il basso quando i due, il brasiliano della Rocinha e l’italiano di Milano, vengono sorpresi da un adolescente con un fucile a tracolla, un fucile nero e marrone.
– Dove state andando? – chiede il narcos con la voce impastata. Era uno dei partecipanti alla festa del valao. Li ha seguiti. E’ ubriaco.
– Io sono di qui, sono della Rocinha – risponde la guida di Don Matteo.
– Non mi interessa. Dove state andando?
– Lo sto portando su nella Rua Dois. E’ un prete italiano, collabora con Marzia, quella dell’asilo. Sta facendo un giro nella favela.
– Ah, è italiano? – replica l’adolescente – E perché tiene le mani nelle tasche? E’ armato? E’ un poliziotto infiltrato?
– Cazzo, ti ho già detto che è un prete italiano! – ribatte l’amico di Matteo. Si è alterato. Si è offeso: lui, un cinquantenne della Rocinha trattato come un coglione qualsiasi da un moccioso con un fucile che magari il fucile non lo sa neanche usare.
– Stai lontano! – grida il narcos e punta il fucile contro Matteo e la sua guida. L’amico brasiliano del prete ha cercato di avvicinarsi all’adolescente (e gli ha risposto male). C’è il rischio che l’adolescente s’incazzi.
– Sono italiano, sono un prete – dice Matteo – Volevo fare un giro, conoscere la favela … Adesso però ce ne andiamo, andiamo nell’asilo di Marzia. E’ con lei che collaboro.
– Sei italiano? Un tempo gli stranieri per passare nel valao chiedevano il permesso al Commando … Voi invece siete passati così davanti a noi, come se fosse normale … E tu poi tieni le mani nella tasche … Sei armato, sei un infiltrato!
Il prete toglie le mani dalle tasche, apre la cerniera della felpa, alza le mani.
– E’ un assurdo, voglio parlare col tuo capo! – si arrabbia la guida.
– Che capo e capo – interviene Matteo – Adesso ce ne andiamo, andiamo da Marzia … Scusami – l’italiano si rivolge al narcos – La colpa è mia che non ho avvisato il Commando.
La prossima volta, quando vorrò fare un giro nella favela, verrò da voi e vi avviserò.
Nel frattempo nel vicolo, tra le pareti di pietra delle case umide, passano delle persone. Una ha infilata una pistola nei bermuda e fa un cenno di saluto al giovane narcos che ha fermato il prete e la sua guida. Quello ricambia. Matteo si sofferma sugli occhi dell’adolescente: sono occhi scuri, stanchi e dubbiosi. Secondo il religioso il giovane narcos sarebbe capace di deporre il fucile e prendere un libro. E di tornare a studiare. Nessuno è cattivo per sempre, pensa Matteo.
– Va bene, andate – è la sentenza dell’adolescente.
Il prete e la sua guida riprendono così la risalita della favela, nella direzione dell’asilo e senza più deviazioni che soddisfino la curiosità del religioso. I due infatti avevano pensato di camminare fino alla Rua Dois dove, secondo la guida, è strapieno di narcotrafficanti armati, chissà che il religioso non trovi ispirazione per un nuovo progetto sociale … Ma non c’è più tempo, e poi è pericoloso.
Se vi piacciono i racconti, consiglio questo romanzo: