Cosa cerco di più in questi lidi?
Qual nuovo ben puoi darmi ancora?
De’ le tue gioie ho miel gustato,
bevvi del duolo il tosco amaro
e pur mi fu tutto il passato invano,
invano se dei tuoi baci ardore ignoro.

M’avvince la catena eterna
e non ne vo’ slacciare il nodo:
forse dovrei volar ma il volo
fia poco quando il ciel ci stringe.

Dell’infinito stringono i lacci
quest’alma avvezza a un più sicuro
confin che marco in questi tratti
che m’apprendesti, Arte, a segnare.

Oltre quest’albe terre io non conosco
né mar, né ciel, né fiera selva o bosco:
l’eternità sta intera
sotto i miei occhi china,
attende la mia penna
per farsi imbellettar.

E pazza io ne disegno
le vaghe forme e un velo
lascio cadere allora
celando lusinghiero
il suo sembiante a me sola.

Qual bene ancora darmi?
Niun. Che mai pur chiedo?
Tal volta farsi savio
sa pure il pensier mio…

Alle volte capita che le passioni ci tormentino, che ci stanchino infine per mezzo di quelle stesse qualità che ce le avevano rese care. Spesso scrivere diventa insostenibile: più che un piacere è un affannoso respiro, più che un dolce riposo è un’avventura per la quale imbarcarsi soltanto se armati di coraggio. E, in attimi in cui quel coraggio viene meno, mi chiedo se forse non si debba smettere in un punto ogni cosa. Prima o poi di quel che ci appassiona proviamo ogni sfumatura di piacere ed ogni grado di amarezza, ogni lacrima viene pianta e non resta più nessuna esperienza.

Si giungerà nel punto in cui tutto si sarà già scritto, tutto già dipinto, già scolpito, fotografato, filmato e immortalato in ogni modo?

Eppure pare che chi si leghi ad un’arte non ne esca. Finisce di darti qualcosa di nuovo, ma continui a ricercarla morbosamente. Come una sete implacabile, una febbre che porta al delirio ci conduce più vicini all’orlo dell’abisso. Per me è un abisso interamente bianco su cui tracciare le parole. Caderci è un passo che non sappiamo fare, appartiene al solo genio, ma possiamo camminarci sopra, sospesi in aria perché questo appartiene a noi pazzi.

In quell’abisso c’è tutto. Guardarci dentro è il solo modo che, ormai tolti alla vita, abbiamo per vivere.

E poi, come Menadi invasate, tentiamo di rendere meno eterno quello che è infinito, lontano dai confini di spazio e tempo. Come negare che questo vivrà per sempre negli animi degli uomini? Si può scrivere tutto, ma non si può scrivere secondo le infinite possibilità. L’arte non si consuma, vive della propria dimensione inaccessibile nutrendosi di se stessa. Ed io, come chiunque l’ami, ne godiamo il fascino ambiguo lottandovi, ma celandone gelosamente la visione.

Diventa forse ripetitivo il gesto della creazione artistica? Può sembrare, ma solo alle persone accorte, ai veri maestri del pensiero. Questo non è mestiere da artista, pensare. Noi sentiamo soltanto con sensi presi in prestito. Purtroppo, ogni tanto, faccio ancora l’errore di rendere quei sensi e tornare all’intelletto umano biasimando la sola passione che nella mia vita valga la pena provare. Per cui non le passioni ci stancano, piuttosto noi cambiamo sensibilità nel giudicarle.


L’infinito in un foglio