Nel punto più alto della collina, o meglio, un poco sotto al punto più alto, c’è la casettina di Michelangelo e Silvinha. Lei, Silvia, è una negra nata e cresciuta nella favela Rocinha.
Dalla sua finestra si vedono le luci delle case della favela intera che di notte sembrano tante stelle del firmamento. Di notte, dalla finestra di Michelangelo e Silvinha, si vedono tante luci come delle lucciole primaverili, come dei fari che lampeggiano per ricordare a tutti quanta vita, quanta vita palpita sotto la grande statua del Cristo con le braccia aperte. In realtà la statua del Cristo è lontana, ma simbolicamente quella statua sovrasta ogni angolo della città.
Silvia è orgogliosa della strada percorsa, è orgogliosa anche delle percosse che ha preso da bambina, è orgogliosa di avere resistito, di non essersi piegata alla prostituzione.
Michelangelo è felice d’essere uscito dalla dipendenza dalla cocaina e di sera, mentre la moglie prepara il caffè, lui legge la Bibbia seduto al tavolo della cucina, legge pensieroso, cercando di capire, di meditare ogni parola, cercando la verità in un libro. E’ Silvia ad averlo introdotto alla Chiesa Evangelica, lei infatti è una missionaria. Nel gergo di qui significa che gira il Brasile intero viaggiando perlomeno una o due volte al mese, e nelle diverse città che visita parla in pubblico della sua esperienza, delle difficoltà, degli sforzi, della fede in Dio.
Il caffè di Silvia è buono, un po’ troppo dolce, forse. Il caffè di Michelangelo è simile a quello di Silvia.
Si assomigliano Michelangelo e Silvia. Si completano. Dominatrice è Silvia, ma non lo fa pesare. Lui infatti è disoccupato e dipende finanziariamente da lei. Lei gestisce la sezione della Chiesa Evangelica del Largo do Boiadero, nella favela Rocinha. Parla ogni martedì e giovedì dal pulpito della chiesettina e ammonisce la gente che la ascolta contro i pericoli della favela. Le interessano soprattutto i problemi dell’infanzia, è fissata col fatto che i bambini dopo la scuola tornino a casa e non rimangano a bighellonare tra i bar, le tavole calde, tra i negozi della via Apia, del Largo do Boiadero.
Michelangelo l’ascolta, oggi con molta più attenzione di qualche anno fa quando non resisteva alla tentazione della coca dopo una nottata di bevute. Le strisce alle quattro, alle cinque del mattino erano le migliori, quelle che ti facevano tornare un ragazzino …
Michelangelo beveva, si drogava durante i fine settimana, durante la settimana lavorava nei negozi della favela come commesso o trasportatore tra i vicoli, in salita, trasportava casse di birra, divani, materiale da costruzione.
Poi, quando ha visto che l’attività missionaria e pastorale della moglie stava facendo successo, ha deciso di aiutarla, di seguirla, di non spezzarsi più la schiena e lei lo ha accettato con le sue limitazioni, con i suoi dubbi. A Silvia non importa che lui non lavori, quello che le importa è che non si droghi più e che legga la Bibbia, dove è scritta tutta la verità.
Vicino al punto più alto della collina, una decina di metri sotto alla casettina di Silvia e Michele, tra pietre scoscese, acque stagnanti, c’è un bar costruito dentro alla roccia che vende soprattutto coca cola e cachaça. E’ un piccolo bar con un asse di legno che fa le veci del bancone, un bar che odora di chiuso e stantio situato in un angolo scuro, poco frequentato, poco visitato dopo una certa ora perché è qui che la polizia viene a battere, e a sparare, se cominciano i casini.
E i casini cominciano quando i narcotrafficanti non pagano quello che devono alla polizia.
Lo sa bene Silvinha, il cui nipote è morto durante un carnevale di una decina di anni fa. Erano le cinque del mattino, il nipote di Silvinha era appena uscito di casa per andare al lavoro, lavorava in un ufficio come addetto alla sicurezza, come guardiano, il nipote di Silvinha stava camminando in un vicolo tra cavi della luce elettrica fittissimi, penzolanti sopra la sua testa e quella dei due colleghi di lavoro. Il nipote di Silvinha stava camminando, stava calpestando rigagnoli di fogna, stava evitando di calpestare le cacche dei cani e le finissime tubature dell’acqua, per terra, tra le rocce, tra la melma.
Erano le cinque del mattino quando la polizia è sbucata dal nulla, silenziosa, allenata a fare piano e, convinta, convinta la corporazione che i tre negri fossero dei malviventi, prima di dire qualsiasi cosa, la corporazione, un uomo della corporazione, un uomo ossuto o magari grasso ha sparato e ha centrato lo stomaco del nipote di Silvinha che è morto dissanguato. I due compagni sono riusciti a scappare, e hanno abbandonato il collega di lavoro.
La polizia poi ha riconosciuto l’errore, ha riconosciuto di aver scambiato quell’onesto lavoratore per un narcotrafficante.
Per questo il poliziotto ossuto ha sparato, per errore. Il poliziotto ossuto è stato poi allontanato per un anno dalla corporazione, è stato segregato al lavoro di ufficio, la corporazione ha pagato il funerale del nipote di Silvinha. Sua madre ha poi denunciato formalmente la polizia di Rio de Janeiro e ha vinto la causa in tribunale. E adesso sta ricevendo, mensilmente, il valore dell’indennizzo. E’ stata Silvia a spronarla a far valere i propri diritti, anche se lacerata dal dolore, anche se mortificata. Silvia è fatta così. Sa di avere dei diritti e li fa valere come può, dove può. Michelangelo l’ha capito e per questo l’ha sposata, l’ha seguita. L’ha sposata anche se lei già aveva due figli, anche se lei veniva da un altro matrimonio.
L’ha sposata e ci ha fatto un altro figlio, hanno pure adottato una ragazzina, la loro casa era invasa dai figli, dai nipoti, oggi è più silenziosa, oggi non si respira più l’odore della disperazione che opprimeva il petto di Michelangelo.
La Chiesa Evangelica e Silvia hanno vinto la loro battaglia e Michelangelo è seduto al tavolo della cucina, Bibbia alla mano, sta riflettendo sulla fede dimostrata da Abramo quando si dichiarò disposto a sacrificare il suo unico figlio, in nome di Dio. Michelangelo, sorseggiando un caffè troppo dolce, sta pensando a quanto debba essere o essere stato crudele un Dio che chiede come prova di fede al suo seguace prediletto di sacrificare l’unico figlio. Michelangelo chiede silenziosamente a Dio di aiutarlo a risolvere questa contraddizione, la contraddizione cioè tra un Dio misericordioso e un Dio spietato.
Silvinha intanto, fuori sul terrazzo, pensa alla sua amica americana che verrà presto a trovarla e alle sue amiche evangeliche che l’indomani verranno a casa sua.
L’americana, una viaggiatrice in cerca di emozioni, rimarrà un mese da lei e contribuirà alle spese, il contatto le due amiche l’hanno fatto via internet, oramai è una consuetudine per Silvinha ricevere turisti in casa. E visite, molte visite come quelle delle amiche predicatrici, delle amiche missionarie che l’indomani festeggeranno e spettegoleranno insieme a lei. Silvinha dal terrazzo vede la favela Rocinha intera e le luci delle case, in questa sera, le luci che come fuochi in una valle segnalano la presenza di esseri umani, di cuori pulsanti. Michelangelo in casa riflette sul motore che fa pulsare tutti questi cuori e sul perché, nonostante tutto, i cuori continuino a pulsare.