La libertà di essere me stessa

248

*Racconto scritto per un concorso letterario dal tema “Alla stazione”

L’altoparlante annuncia qualcosa in tedesco, ma io non comprendo neanche una parola, tra il frastuono e la poca conoscenza della lingua. Sono alla stazione di Monaco di Baviera, che negli ultimi mesi si è trasformata in una sorta di seconda casa. Conosco ogni centimetro di questo posto, dai binari ai bar, dal deposito bagagli ai negozi. È così strano pensare che una come me, poco avvezza agli spostamenti e ai viaggi, abbia trascorso un tempo incredibile tra le mura della cosiddetta München Hauptbahnhof. All’incirca ogni due venerdì pomeriggio salto sul convoglio della Deutsche Bahn che, in meno di tre ore, mi porta nella città bavarese. I parenti e gli amici mi giudicano pazza, chi mi conosce da sempre come i miei genitori crede che abbia perso il senno, alcuni sono convinti che sia una fase di “ribellione” che svanirà a breve.

Il fatto è che sono sempre stata una ragazza solitaria, silenziosa, che non ama andare in discoteca o sballarsi fino all’alba. Per qualcuno la figlia perfetta, per altri una tipa noiosa, banale, monotona. Chissà chi aveva ragione, la realtà dipende sempre dal punto di vista da cui la si osserva. Io non mi sono mai posta troppe domande, ho preferito tirare dritto per la mia strada. Pochi obiettivi, ma precisi e puntuali: maturità classica, facoltà di Lettere con il fine di diventare un’insegnante, una famiglia unita, pochi affetti, ma sinceri e un fidanzato adorabile che mi amava alla follia e che io veneravo. Spesso mi sono chiesta cosa diamine ci trovasse in una come me, arrivando ad ottenere una risposta esaustiva solo quando ormai era troppo tardi: la tranquillità. Ero il porto sicuro in cui attraccare e tornare sempre, quello a cui affidarsi per proteggersi da una tempesta. Non ponevo troppe domande, non pretendevo chissà cosa, lui poteva mantenere quasi intatta la sua routine. Una relazione da favola, in cui ci si vedeva solo il weekend e dove i dissapori e le litigate non esistevano. Qualche volta si era parlato di convivenza, in fondo stavamo insieme da cinque anni e avevamo entrambi una posizione economica stabile, ma mai in maniera seria e approfondita. Anche in quel caso capii in ritardo il perché di un continuo rimandare una scelta così importante: non ne avevamo voglia, entrambi. È assurdo pensare come si sia potuto vivere anni interi di fianco ad una persona che in realtà non si amava davvero e di cui si conosceva una minima parte.

Cinque anni, 60 mesi, 1825 giorni.

Per il quinto anniversario avevo deciso di fargli una sorpresa. Non ero tipa da improvvisate o dichiarazioni romantiche, ma per una volta volevo far rimanere a bocca aperta il mio compagno. Riflettendoci ora, con il senno del poi, mi viene da ridere tornando alle ore in cui organizzai scrupolosamente ogni dettaglio della serata.

Ero dovuta andare ad un corso di aggiornamento per insegnanti a Roma e sarei dovuta tornare il giorno dopo, ma un evento fu cancellato all’ultimo, motivo per cui ero giunta a casa in anticipo. Avevo le chiavi del suo appartamento, d’altronde essendo una tipa così prevedibile e monotona non mi sarei mai azzardata a compiere una mossa audace come pianificare una cena inaspettata. Trascorsi il pomeriggio a cucinare e allestire il salone con tanto di palloncini a forma di cuore e la scritta in rosso “ti amo”. Forse un po’ eccessivo per due ventisettenni che si frequentavano da tempo, ma desideravo fare uno strappo alla regola. Ero incredibilmente fiera del mio piano perfetto.

Sarebbe dovuto rientrare alle 19, dopo il lavoro, ma alle 20 ancora non c’era traccia di Carlo. Lo chiamai, fingendo di essere a Roma, e lui mi avvisò che era andato a prendere un aperitivo con i colleghi, sarebbe rientrato di lì a poco. Era molto stanco, in ufficio avevano un mucchio di lavoro da sbrigare nelle ultime settimane, spesso era costretto a fare degli straordinari. Passarono 20 minuti e la porta di casa si aprì. Andai di corsa a prendere i tramezzini di salmone (anche quelli a forma di cuore) che avevo preparato come antipasto e mi presentai all’ingresso con un tubino nero aderente e un sorriso sincero dipinto in volto. Sorriso che svanì immediatamente appena misi a fuoco la scena che mi si parava di fronte: Carlo, una ragazza mai vista prima, effusioni e baci tra due persone che era chiaro si conoscessero da tempo. Non feci scenate, non gli scaraventai addosso il vassoio, pur avvertendone in maniera tremenda la voglia. Mi limitai a prendere la borsa appoggiata sul divano, con estrema calma, per poi andarmene via mentre pronunciai un sereno “Tu per me sei morto”. Poi scoprii che mi aveva tradita più volte con parecchie donne diverse, ma quella fu l’ultima volta in cui lo vidi.

Il cellulare vibra e interrompe il flusso dei ricordi. “Ciao Caro, mi dispiace farti attendere a lungo, ma il prof ci ha obbligati a terminare un compito a lezione e si è fatto tardi. Ho preso il primo treno disponibile, 15 minuti e sono da te. Non vedo l’ora.”

Ne approfitto e decido di rifugiarmi nel piccolo Starbucks che si trova vicino all’ingresso principale. Ormai i volti dei ragazzi che ci lavorano mi sono familiari. Probabilmente è un’illusione tutta mia, ma è bello fingere che mi riconoscano e si chiedano il motivo per cui trascorra spesso i weekend in città. Mi piace sedermi su uno dei tavolini che si affaccia sui binari e scrutare le persone che corrono da una parte all’altra con borse, valigie e bagagli vari. Vanno tutte di fretta: c’è chi ride, chi si abbraccia, chi si saluta tra le lacrime, chi parla da solo, chi ascolta la musica, chi legge un libro in attesa. A volte mi diverto ad immaginare le storie celate dietro quei volti sconosciuti. È così che un ragazzino con uno skate in mano si trasforma in un adolescente che si è appena dichiarato alla compagna di classe per cui ha una cotta e sta tornando a casa in preda ad una felicità contagiosa o un signore di mezza età con i capelli bianchi diventa un vedovo che è andato a depositare i fiori sulla tomba della moglie, deceduta un paio di anni prima. Ho anche iniziato ad annotare queste storie inventate su un quaderno, magari prima o poi le sistemerò e avrò il coraggio di inviarle a qualche casa editrice. Ho sempre sognato di scrivere un libro, ma con gli anni ho progressivamente abbandonato quel desiderio. Carlo ripeteva spesso che dovevo rimanere con i piedi per terra e concentrarmi sul lavoro e su tutto ciò che avesse una dimensione concreta. La scrittura era solo un capriccio da adolescente che avrei dovuto dimenticare. A furia di sentir ripetere quelle parole mi sono convinta che avesse ragione. Quante occasioni ho sprecato per via del suo atteggiamento! Forse ha ragione chi pensa che Michael sia una diretta conseguenza della relazione finita appena cinque mesi fa, ma ignorano il vero motivo per cui ho deciso di imbarcarmi in questa avventura. Ho vissuto fino ai 27 anni in una specie di bolla, perfetta all’apparenza, ma si trattava pur sempre di una gabbia con delle pareti ben definite impossibili da varcare. Non è stata solo colpa di Carlo perché anche i miei genitori, con i loro divieti, e il mio carattere, chiuso e solitario, hanno finito con il farmi perdere tante esperienze, ma lui è stato quello che si è approfittato della situazione. Invece di spingermi ad osare ha fatto di tutto per far sì che non cambiassi nulla, ma non perché mi amava per ciò che ero, come ho erroneamente creduto a lungo, bensì perché gli faceva comodo.

Bevo un ultimo sorso del frappuccino con su scritto “Carolina” e mentre appoggio il bicchiere vuoto sul tavolino due mani mi coprono gli occhi.

“Chi sono?” chiede in inglese una voce allegra che ormai riconoscerei anche in mezzo ad una folla rumorosa.

“Un ragazzo bellissimo, simpaticissimo e intelligentissimo di nome Jeremias?” provo ad indovinare ridendo.

“Ehi, un momento. Vuoi dirmi che non sono il tuo unico amante tedesco?” domanda fingendosi arrabbiato.

“Oddio Michael, sei tu! Scusa, ma devi sapere che con tutti i fidanzati che ho sparsi per l’Europa ogni tanto mi confondo. Mi dispiace tanto.” Ci guardiamo in silenzio per una manciata di secondi dopodiché scoppiamo entrambi a ridere.

“Ciao italiana,” mi sussurra dolce mentre sfiora le labbra con un bacio casto. È sufficiente quel contatto appena accennato per farmi avvertire un tremolio all’altezza dello stomaco. Quando sono insieme a Michael provo delle sensazioni nuove, inedite, che mi spaventano, ma al tempo stesso mi fanno sentire viva come mai prima d’ora. Non so se sia questo l’amore, mi sembra un termine così lontano dalla mia realtà, onestamente ho anche messo in dubbio il sentimento che mi legava a Carlo. Cosa vuol dire amare qualcuno? Cosa si cela dietro questa parola così spesso abusata e maltrattata? Per quel motivo con Michael abbiamo messo alcune regole da rispettare in maniera scrupolosa: niente promesse o etichette, nessuna presentazione ad amici e parenti, ci scriviamo solo per metterci d’accordo quando vederci, nessun accenno al lavoro o a delle frequentazioni extra. Non ho idea se lui si veda con delle ragazze e neanche Michael sa nulla della mia vita sentimentale al di fuori di questi weekend bavaresi e non abbiamo neanche voglia di saperlo. Ci apparteniamo solo il tempo che trascorriamo insieme e per il momento va tutto a gonfie vele. Non abbiamo idea di cosa ci riserverà il futuro, ma è così bello per una volta avere come unico obiettivo quello di godersi il presente senza pianificare nulla. Con Michael mi sento libera, che è l’unica sensazione che mi ero sempre preclusa e che invece ho scoperto di desiderare ardentemente.

Un capriccio? Un toy boy di appena 21 anni? Uno sfizio post rottura? Lascio che le persone giudichino senza pietà, tanto sono sempre pronte a puntare il dito contro di te senza riflettere, quindi tanto vale lasciarle sfogare. D’altronde capisco che sia difficile capire quale sia il regalo più bello che Michael mi sta dando ogni volta: la libertà di essere me stessa. E anche se domani lui conoscesse la donna della sua vita e ponesse fine a questa relazione stramba e particolare non avrei alcun rimorso e non mi dispererei perché mi ha permesso di scoprire la vera Carolina, quella che avevo tenuta nascosta per una vita intera. Vi sembra poco? C’è chi trascorre la sua intera esistenza dietro ad una maschera di falsità e apparenza ingannevole.

“Andiamo a posare i borsoni in hotel, poi ti porto in un locale nuovo vicino Marienplatz che cucina piatti tipici messicani ed è aperto fino a tardi. Che ne dici?”

“Dico che non potrei essere più felice di così.” Ci avviamo fuori dalla stazione sorridenti e appena ci troviamo sul marciapiede mi volto un attimo verso l’edificio e ripenso al giorno in cui ci siamo conosciuti. Subito dopo aver scoperto il tradimento mi sono presa qualche giorno libero e sono andata alla stazione di Verona Porta Nuova senza una meta prestabilita. Alla biglietteria mi hanno detto che sarebbe partito a breve un treno diretto a Monaco che costava poco così ho deciso di prendere l’occasione al volo. Mi sentivo incredibilmente eccitata e leggera, ma una volta giunta a destinazione un senso di angoscia e di disperazione mi hanno assalita. Ero stata tradita, più e più volte, da un uomo che diceva di amarmi. I miei sogni erano andati totalmente in frantumi. I pochi legami che avevo erano in comune con Carlo, mi rimaneva solo il lavoro, ma non mi consolava granché. Scoppiai a piangere disperata e mi accorsi troppo tardi che avevo dimenticato i fazzoletti a casa. Non me ne andava una per il verso giusto, cosa altro poteva succedermi? E all’improvviso un ragazzino biondo, con un’espressione dolce e due occhi incredibilmente scuri mi porse un fazzoletto assicurandomi che qualunque problema mi affliggesse si sarebbe risolto presto.

Potrà sembrare strano, ma se uno mi chiedesse “Qual è il luogo e il momento in cui è cambiata la tua vita?” io risponderei “Alla stazione di Monaco, un sabato pomeriggio di marzo.”