La mia storia inizia in un qualsiasi giorno di tre anni fa.
Io entravo nel bar del polo ospedaliero con l’intenzione di deliziarmi con una brioche al cioccolato. E la vedo entrare. Era bellissima, bellissima. Sembrava una di quelle madri sui manifesti della festa della famiglia, dove ci sono solo persone belle e sane. Io non sono proprio sano. Soffro di una sindrome respiratoria. Le bronchiettasie causano tosse perpetua, dolore al petto, malattie continue. Non avevo la ragazza e nemmeno amici.

Quando tossisco faccio schifo, a volte divento paonazzo, un po’ per la mancanza di respiro, un po’ per la vergogna.

Beh, avevo perso ogni interesse nei confronti della brioche e il petto mi doleva ma di un dolore piuttosto piacevole. Il cuore mi batteva all’impazzata. E, niente, ho iniziato a tossire, sputacchiando briciole e gocce di saliva.

– Tutto a posto? –

Quella stupenda creatura si era seduta accanto a me e tutta premurosa mi aveva chiesto se stavo bene. Stavo benissimo. Io non sento gli odori ma sono certo che Sabrina quella mattina profumasse, anche se non posso sapere di cosa, dato che non ho mai percepito odori. I suoi capelli erano nerissimi, lucidi e lunghi fino alle spalle. Le donne dovrebbero sempre portare i capelli lunghi. Mi piacevano tanto quei capelli perché erano curati, si vedeva che ci stava dietro. La bellezza è un dono che va curato. Continuai nell’esame di quella giovane donna: maglione a collo alto color mandarino, gonna di jeans verde lunga, stivali bianchi con tacco. Mandarino, verde scuro, bianco immacolato: mi sembrò una scelta cromatica assertiva.

Quella donna aveva una forte personalità.

Abbiamo iniziato a chiacchierare, ridendo come scemi della mia tosse, lei ancora preoccupata. Dopo le presentazioni gli raccontai del mio lavoro. Gestivo una pressa per termoplastici, un estrusore che serviva a formare bottiglie di plastica per acqua minerale. Gli rivelai un dettaglio che sorprende sempre tutti: le sfere di materiale plastico che serve a formare le bottiglie sono di colore grigio (per le bottiglie non colorate). Gli estrusori sono come giocattoli.

Adoravo il mio lavoro. Lo avevo ottenuto facilmente perché sono inserito nelle categorie protette.

Gli raccontai anche della mia terapia respiratoria, esagerando forse un pochino le mie condizioni per darmi importanza. Però è vero che bisogna farla tutti i giorni, per tutta la vita. Si tratta di soffiare dentro una bottiglia di vetro e poi tossire e liberare i bronchi. In più devo aspirare tutte le mattine un farmaco broncodilatatore. Per tutta la vita. Adesso sto facendo la terapia e sfoglio una rivista anni ’50 che mia moglie mi ha regalato per Natale. Adoro le riviste vecchie. Leggo della prima lavatrice semi automatica e dei giovani, rimasti senza approdi in una società vuota di valori. Rido così tanto che tossisco violentemente e mia moglie viene a chiedermi come va.

Va benissimo perché ho la moglie migliore del mondo. E fra poco avrò il figlio migliore del mondo.

Siamo usciti per sei mesi poi lei è partita con la famiglia per il mare e io ero davvero molto infelice senza di lei. Diceva una canzone di Eros Ramazzotti che “E’ proprio vero che a qualcuno tu/dai più importanza quando non l’hai più. Lo sto imparando ora”. Ecco, sono d’accordo con tale versificazione. Quando tornò cercai di convincerla a provare a convivere. Avevo già trovato una stanza in affitto con letto matrimoniale e due ampi armadi.

– Amore, andiamo a convivere –
– No, Antonio, è troppo presto –

Infatti, inizialmente, avevo lasciato perdere, ma dopo che abbiamo festeggiato il primo anniversario sono tornato alla carica.

– Sabrina io ti amo…-
– Anche io – mi ha risposto, ma io non avevo voglia di dolcezze.

Le dissi che volevo parlare con serietà, volevo che mi prendesse sul serio. Mi sentivo molto adulto.
Fu allora che mi rivelò che la sua famiglia non mi amava troppo. Non mi ritenevano all’altezza di Sabrina perché lei studiava medicina mentre io faccio l’operaio.

– Tesoro, io mi mantengo da solo e non ho ancora compiuto i trent’anni. Ce ne fossero perdonami, di ragazzi come me. Alla mia età la maggior parte dei giovani abita ancora con i genitori. Come te… –

Lei mi pizzicò le guance e mi tirò verso di se. Non avrei dovuto dirle che lei stava ancora con i genitori.

– Io studio!- mi ricordò.

L’avevo offesa. Spesso non potevamo uscire perché doveva preparare un esame. Io ero comprensivo, anche se non studiavo, io. Conosco il valore dello studio.
Attesi che si laureasse, poi tornai alla carica: volevo conoscere i suoi genitori. Ma Sabrina mi spiegò che dopo la laurea voleva specializzarsi in anestesia. No, davvero, quanta pazienza: ho atteso anche che si specializzasse. E ritornai alla carica.

– Antonio, io devo trovarmi un lavoro –

Lo trovò, ma:

– Antonio, fammi lavorare almeno un anno e fammi firmare un contratto a tempo indeterminato. Fammi mettere via i soldi. Perché hai così fretta? -.

Ora so che avevo fretta perché mi sentivo insicuro. Temevo che qualcuno dei suoi colleghi me la portasse via. Erano così carismatici con il camice, i suoi colleghi dottori.

– E i tuoi genitori quando li conosco? Anche per questo ho troppa fretta? Stiamo insieme da anni, ormai! -.

Lei arrossì profondamente.
Io le ho preso il mento tra le mani con delicatezza, ma anche con decisione, perché volevo che mi guardasse negli occhi. Quando mi accorsi, però, che le sue iridi grigio verdi si stavano riempiendo di lacrime, le parole di rimprovero mi morirono tra le labbra. Tuttavia dovevo pensare anche a me stesso.

– Sabrina, devo conoscere la tua famiglia. Questo dilemma si trascina da troppo tempo e la cosa sta diventando ridicola!. Voglio chiedere a tuo padre il permesso di sposarti -.

Così nel fine settimana mi presentò i suoi genitori e la sorella di dodici anni. Non è stato facile, la ragazzina mi guardava storto, mi esaminava i vestiti. Il padre mi guardava l’orologio dal cinturino di plastica. Lo sanno tutti che se vuoi capire un uomo devi guardargli l’orologio. La madre, ho scoperto mesi dopo, mi esaminava i denti, come si fa con i cavalli.
Non volevo che Sabrina litigasse con la sua famiglia. Spiegai loro che volevo sposarla e che ero povero ma onesto e in gamba. Comunque con due stipendi non avremmo avuto problemi perché Sabrina si sarebbe mantenuta da sola e io avevo sempre lavorato.

So che temevano che un giorno io perdessi il lavoro e che Sabrina avrebbe dovuto mantenermi.

Avevo indossato il mio maglioncino migliore e i mocassini. Mi ero sbarbato accuratamente. Avevo persino messo il profumo, ma siccome non sento gli odori, Sabrina mi confessò il giorno dopo che ne avevo messo un po’ troppo.
Mi domandarono della mia patologia e precisai che sono invalido al cinquanta per cento, ma con una fisioterapia quotidiana riesco a mantenere sotto controllo le riacutizzazioni. Presi la mano di Sabrina e guardai il padre negli occhi:

– Amo sua figlia e voglio sposarla –

L’uomo, che adesso è mio suocero, mi guardò con uno sguardo che non mi piaceva, come se pensasse “L’erbavoglio cresce solo nel giardino del re”.
Fissava preoccupato la mano di sua figlia nella mia. Una mano esile e dalle unghie curate stretta nella mia mano pelosa. E allora ho compreso tutta l’ansia, il timore, di un padre che sta mettendo la sua bambina nelle mani di un estraneo. Improvvisamente ho capito e in quel momento sono cresciuto.
Ho capito improvvisamente che dovevo aspettare, che avevo davvero fretta, che era meglio farmi conoscere prima dalla sua famiglia e farmi benvolere.
Così, con grande stupore di Sabrina, dissi:

– Ecco, pensavo di attendere che l’attività lavorativa di Sabrina sia consolidata. Poi ci sposeremo -.

Stavo per dire “la sposerò” ma mi sono corretto in tempo.
Fu come se un immenso sospiro di sollievo si sollevasse dal cuore di tutti loro. Io sapevo di avere deciso saggiamente, ma lo stomaco era chiuso e mangiai per educazione.
Lavorai bene: nei mesi che seguirono tornai dai mie futuri suoceri a settimane alterne e mi feci conoscere. Portavo loro bottiglie di vino di qualità, fiori accuratamente selezionati, libri che la mamma di Sabrina leggeva dopo che li avevo letti io e poi ne discutevamo. Mio suocero ed io giocavamo a carte.
Ho costruito un buon rapporto, con pazienza, giorno dopo giorno.
Se avessi insistito con il mio atteggiamento cocciuto e immaturo, avrei rovinato tutto!

Valentina Simona Bufano – La mia storia inizia in qualsiasi giorno