Siamo morti davvero se alcune parti di noi continuano a vivere in altre persone?

di Fabiana Favalli

Non c’è limite di età per pensare alla morte

Era fine ottobre, poco prima della chiusura pressoché totale della Lombardia. Ho deciso di recarmi in comune e stracciare la mia vecchia carta d’identità cartacea, catapultarmi nel secondo decennio del 21esimo secolo con un documento elettronico. Era ora.

Al momento dell’inserimento di tutti i dati e della consegna delle foto, la segretaria, una donnina bassa sulla cinquantina, ma con l’aspetto di chi è invecchiato precocemente, mi ha fatto scivolare sotto gli occhi un foglio da compilare. Personalmente, l’ho riconosciuto subito.

La signora, con quei suoi occhialetti dalla montatura rossa, la catenella che incorniciava il viso e la mascherina portata sotto al naso, sembrava vagamente preoccupata per me.

Non sei obbligata eh, è solo una prassi che bisogna seguire mi ha detto inquieta sulla sua sedia girevole. Dall’accento doveva avere origini calabresi. Io, senza pensarci un attimo, ho compilato tutto il modulo e firmato come favorevole. Quella era stupita, chissà poi perché.

Ho sollevato la testa chiedendo dove fosse il modulo per il testamento biologico. Quella ha sollevato le mani dicendomi di parlare con un notaio.

Non ti conosco, non so che esperienze hai avuto nella vita, ma non prendere alla leggera quel documento mi ha detto. Ovviamente, scegliere è un mio diritto e non ho bisogno di giustificare le mie decisioni. Quindi, attualmente, sono una donatrice di organi.

Era da un po’ che riflettevo su questa scelta e penso di aver agito coerentemente alla mia visione della vita e della morte. In tanti adulti si sono stupiti della mia volontà di trattare il tema del mio decesso, in qualunque momento avverrà, già all’età di 24 anni. La morte non guarda in faccia nessuno ed è bene batterla sui tempi. Non voglio che sia un mio genitore o un altro mio caro a scegliere cosa farsene del mio corpo una volta che io non ci sono più. Questo ammasso di carne e ossa deve restare di mia proprietà anche quando non sarò in grado di esprimere la mia volontà.

Tutto questo ragionamento nasce dall’ultimo periodo che il mondo sta vivendo: in piena pandemia Covid-19 ho visto morire persone che stavano bene, prima di contrarre il virus. Certo, erano tutti over 50, ma anche i miei genitori hanno la stessa età e mi sono sentita toccata. Ho percepito una minaccia vera e propria e mi sono sentita in dovere di agire. Ho invitato anche i miei cari più prossimi ad affrontare il passo della donazione degli organi e del testamento biologico, ma un po’ per pigrizia e un po’ per incertezza, non lo hanno ancora fatto.

Viceversa, siamo proprio noi giovani a tutelarci di più: gli adulti tra i 18 e i 29 anni coprono l’84% dei testamenti a favore della donazione degli organi. Subito dopo, troviamo la fascia successiva, tra i 30 e i 40 anni (dati del Centro Nazionale dei Trapianti).

Non sono una sociologa e non so spiegare scientificamente il perché di questi dati. Perché i giovani pensano di più alla morte? Non lo so. Dal mio punto di vista, ci sono svariati motivi: personalmente temo molto di più la realtà rispetto alla morte e ne parlo con più tranquillità rispetto ai miei genitori che si avvicinano ai sessant’anni. Forse la vedo ancora il morire come una possibilità remota, ma non poi così tanto: io viaggio in moto e il pericolo è sempre in agguato. Basta la distrazione di un altro automobilista o l’asfalto bagnato per farsi male ed è un evento che ho già sperimentato due volte nell’arco di due anni.

Poi ci sono le malattie come il cancro che ultimamente stanno colpendo persone sempre più giovani. Penso molto a questi ragazzi che , come me, sono pieni di vita e desideri, ma hanno come priorità la propria salute.

La decisione definitiva l’ho presa dopo due episodi che mi hanno scossa notevolmente: a settembre, la morte si è avvicinata al mio mondo e ha portato via una mia coetanea, per colpa di una terribile malattia ai polmoni; pochi giorni dopo, mi sono imbattuta in un billboard eloquente, in cui una vittima della strada è sdraiata sull’asfalto col pugno chiuso e il braccio teso in avanti, come un supereroe. You can be a hero after you die, diceva. Potevo essere io quella persona senza vita sull’asfalto.

E se succedesse a me? La morte è ovunque e accade a tutte le età. Io, personalmente, percepisco tutta la mia finitezza e, per questo, voglio parlare di come devo essere trattata anche dopo il mio decesso.

Prima di firmare, bisogna informarsi

Non sono cristiana. Sono battezzata, ho fatto anche la cresima, ma ero troppo piccola per percepire una dimensione spirituale e infatti ho lasciato perdere la Chiesa già dal liceo. Dico questo perché mi rendo conto che alcune persone sono convinte che dopo la morte ci sia una vita eterna.

Il nostro spirito, quando moriamo, va o all’inferno o in paradiso col Padre. Non esiste nessuno stadio intermedio, sonno eterno o stato di non-esistenza. (Genesi 3:19)

Chi vorrebbe trascorrere una vita eterna sapendo che è stato privato di alcune parti del corpo? Alcuni cattolici vedono la donazione degli organi come un atto che mette i bastoni tra le ruote al normale processo della morte, seguita dalla sepoltura e dalla resurrezione dello spirito. In verità, la Chiesa Cattolica non bandisce la donazione degli organi come un atto contro la morale. Papa Giovanni Paolo II, molto attento ai temi di attualità, aveva anzi invitato i fedeli a raccogliere informazioni sulla donazione, vista come un atto di estrema carità. Anche il Pontefice si era reso conto dell’infondata resistenza di alcuni credenti a questa scelta.

In realtà, non ci sono religioni che vietano la donazione degli organi. Unica eccezione riguarda i Testimoni di Geova secondo cui i trapianti in sé non sono motivo di disonore, ma il problema risiede nel sangue che accompagna questi. Quindi, dal momento in cui la procedura per l’impianto di un organo richiede massicce trasfusioni di sangue, il Credo potrebbe portare un paziente a non accettare il trapianto.

E qui torniamo al discorso sui giovani che scelgono quasi a occhi chiusi di donare: forse è l’aumento dei ragazzi atei a portarci a non considerare per niente il lato spirituale della morte. Personalmente, sono convinta che il decesso comporti la transizione da essere a non essere. Ho visto poche morti in vita mia, fortunatamente, e non ho più percepito la presenza della persona deceduta. Il corpo non era altro che un involucro pronto per essere sepolto o cremato.

Vedendomi in quei corpi, mi sono detta che non avrei mai accettato di essere sepolta o cremata con tutti quegli organi che potevano salvare altre vite. Io, quel giorno, non ci sarò più, ma altre persone potrebbero vivere altri meravigliosi anni di vita grazie a me.

Quindi, è bene informarsi anche dal punto di vista religioso: alcuni fedeli pensano che il loro Credo bandisca la donazione degli organi in quanto atto immorale, ma non è affatto così.

Io stessa, seppur convinta della mia scelta, ho affrontato un percorso di crescita: so tutto di burocrazia, morte cerebrale, liste d’attesa, prelievi, allotrapianti, xenotrapianti, ma sono anche più consapevole della preziosità della vita e del corpo. Non ho preso la decisione alla leggera. Non ho ascoltato tutti i volantini che ho ricevuto, con frasi come forse non salverò il mondo, ma una vita sì. Il Ministero della Salute e le associazioni promuovono la “civiltà, generosità, l’altruismo”’ della donazione, ma non ricordano la necessità di sacrificare una vita per poterne salvare altre.

Dopo la morte, il cadavere diventa un magazzino di pezzi da inserire in altri corpi malfunzionanti. Siamo macchine, in fin dei conti. Computer da rottamare e ricavare delle parti utili, case da svuotare per arredarne altre, dei mostri di Frankenstein. Tutto vero, ma personalmente penso sia la testimonianza del progresso della medicina, in grado di migliorare e allungare la vita di un altro essere umano grazie alla carità del donatore.

Alcune persone, infatti, donano perché “è bello”, non sapendo come funzionino i trapianti. Non si fa. Il rischio è quello di prendere una decisione alla leggera per poi farsi trascinare dalle fake news sulle presunte “spine staccate prima che il paziente sia morto per davvero”. La morte non è un concetto univoco, ma il risultato di ragionamenti di carattere etico che vanno approfonditi.

Quando si considera l’idea di donare gli organi, non bisogna basarsi esclusivamente sulla propria visione della morte, ma è necessario aprire la mente e considerare altri punti di vista. E’ fondamentale raccogliere informazioni sulle procedure, su cosa sia la morte dal punto di vista scientifico e comprendere la differenza tra credenze popolari e notizie provenienti da fonti autorevoli.

Prima di firmare, bisogna capire cosa sia la morte

Sembra facile: morte = non vita. Si smette di vivere, si muore. Tutti pensiamo di sapere cosa sia un cadavere, ma non sappiamo veramente quando si assume questo stato.

E’ proprio per questo che esistono delle persone contrarie alla donazione degli organi. La Lega Antipredazione è un’associazione che lotta contro il concetto di morte cerebrale e che reputa i prelievi, da loro erroneamente chiamati espianti, crimini contro l’umanità. La rimozione di un organo o tessuto da un organismo donatore è un prelievo di organi o tessuti; il termine espianto va riservato, invece, alla rimozione chirurgica di un organo precedentemente trapiantato e rimosso per diversi motivi, sebbene comunemente sia spesso usato nel senso di “prelievo” (Wikipedia). Questa è solo una piccola parentesi per invitare chiunque stia leggendo questo articolo a prestare moltissima attenzione ai termini che riguardano la donazione degli organi perché il fraintendimento di uno di questi potrebbe distorcere completamente la percezione che si ha su questa pratica. Chiusa parentesi.

Tornando alla Lega, la quale ha sede a Bergamo, essa propone un punto di vista totalmente differente da quello lieto e rincuorante dei billboard dell’AIDO (Associazione italiana per la donazione di organi). La home page dell’associazione parla infatti di predazione degli organi e morte a cuore battente. Sono parole molto forti che ci invitano a pensare che non sia così semplice come pensiamo decretare quando una persona sia effettivamente morta.

Facciamo un passo indietro così da ragionare meglio sul concetto di morte e scegliere consapevolmente se reputare la donazione degli organi un atto di carità o sacrificio allo sviluppo del business della chirurgia sostitutiva degli organi, come invece sostiene la Lega Antipredazione.

Lo sviluppo della trapiantistica ha suggerito la definizione di morte cerebrale, nel 1968: accade quando l’encefalo è irreversibilmente compromesso e le fondamentali funzioni di cui si occupa (circolazione, temperatura corporea, respirazione…), vengono meno. Immaginiamo il solito incidente stradale di cui ho parlato spesso e che temo tutte le volte che salgo in sella: se un ragazzo rimane vittima, potrebbe ritrovarsi nella condizione in cui il cervello è irreversibilmente morto, poi vedremo anche come si decreta questo stato, ma comunque attaccato a una macchina che gli permette di respirare e al cuore di battere.

In questo caso, il ragazzo non è in coma, quindi a uno stadio reversibile, ma il suo cervello non è più in grado di fargli provare stimoli, controllare i muscoli involontari, ragionare, permettergli di muoversi. Insomma, il ragazzo non c’è più e solo la macchina è in grado di tenere in vita il suo corpo. Non lui come essere umano: infatti, esso viene ventilato in modo da preservare gli organi interni per un possibile prelievo e mantenerli irrorati di sangue. Il ragazzo, però, potrebbe restare in quello stato potenzialmente in eterno, poiché il cervello non è più in grado di controllare alcuna funzione del corpo.

Se nel cervello non c’è più attività elettrica, l’organismo come tutto (e non tutto l’organismo) muore. I macchinari tengono in vita solo gli organi, pronto per il prelievo in caso di testamento firmato in vita o approvazione dei cari. E’ una situazione tragica, ma succede tutti i giorni.

Quindi, quando si muore? Quando si smette di respirare? E, inoltre, quando il cuore si ferma? Quando il cervello non da segni di attività?

E’ questo ciò che spinge la Lega Antipredazione a chiamare la morte cerebrale morte a cuore battente, enfatizzando l’idea che una persona a cui vengono prelevati gli organi respira e ha un cuore che pulsa. Il tutto, aggiungo io, favorito da un macchinario e non dal centro di comando dell’essere umano che è il cervello.

E’ importante assumere un punto di vista chiaro e deciso: per la Lega Antipredazione, il prelievo di organi è omicidio, perché il cuore della persona batte ancora. Secondo gli associati a questo movimento, la morte coincide con l’arresto cardio-circolatorio-respiratorio. L’individuo sarebbe in questo senso ancora in grado di svolgere alcune funzioni. Esistono purtroppo casi di donne in morte cerebrale che vengono ventilate artificialmente per portare avanti una gravidanza e, una volta nato il bambino, si dichiara il decesso ufficialmente. Questo è possibile perché un macchinario si sostituisce ai polmoni e illude tutto l’organismo di essere ancora vivo grazie alla respirazione artificiale e, di conseguenza, anche attraverso la circolazione sanguigna. Il problema è che si tratta di una condizione transitoria che non sfocerà mai in un risveglio del paziente.

Consiglio vivamente di dare un’occhiata al sito ufficiale della Lega Antipredazione, anche se si tratta di un punto di vista diverso dal nostro. Aiuta a riflettere su quante controversie etiche nascano intorno al concetto di morte e testamento biologico ed è utile per capire quale decisione prendere in merito. D’altra parte, però, è bene anche leggere le informazioni di medici, chirurghi e di chi la donazione degli organi la tratta tutti i giorni ed è favorevole. Infine, bisogna prendere una posizione.

Quindi, quando si muore?

Propongo una provocazione al punto di vista della Lega Antipredazione: secondo loro, si è detto, la morte coincide con l’arresto cardiocircolatorio e respiratorio, quindi quando il cuore smette di battere e quando non si respira più. Quindi, se un paziente decide di donare il suo cuore e i polmoni a un altro essere umano, si può dire che sia ancora vivo, dal momento in cui i suoi organi non smettono mai di funzionare?

Si tratta solo di una provocazione, poiché è ovvio che l’enfasi dell’associazione è posta sul concetto di prelievo come omicidio, quindi no, il paziente non si può più considerare vivo.

Dopo il decesso, inoltre, è noto che alcune cellule continuino a riprodursi. Ad esempio, le unghie e i capelli crescono ancora per un breve periodo. Dunque il paziente è da ritenersi ancora in vita?

Queste provocazioni non vogliono andare a minare la solidità del pensiero della Lega Antipredazione, ma invitare chiunque stia leggendo questo articolo a notare quante versioni del concetto di morte esistano. Non è facile trovare un confine tra la vita e la morte e le leggi in merito sono ancora oggi in evoluzione. E’ un concetto così inspiegabile che si possono solo avanzare teorie basate su esami medici, come l’encefalogramma o PET encefalica.

Un aspetto che ho notato dal sito della Lega, è che si parla spesso di coma per indicare la morte cerebrale. Errore madornale. Lo stato di coma indica la condizione in cui un paziente presenta compromissioni allo stato di coscienza, ma clinicamente è vivo. Non avverrà mai un prelievo degli organi in questo stato di cose, altrimenti si parla sul serio di omicidio. Inoltre, esistono diversi stati di coma, più lievi o più gravi. La morte cerebrale, o encefalica, invece, è uno stato irreversibile in cui nulla nel corpo funziona autonomamente. Solo in questo caso si può procedere col prelievo.

Ho letto di storie di bambini che si risvegliano poco prima del prelievo degli organi o di omicidi da parte dei dottori solo per rubare i pezzi del paziente. Quando leggo vicende di questo tipo, vedo molte incongruenze e probabilmente sono frutto dell’ingigantimento da parte della stampa stessa per rendere la notizia ancora più clamorosa.

Perché dico questo? Perché ho ascoltato interviste, letto manuali e testimonianze da parte di parenti di persone morte cerebralmente riguardo alle modalità di accertamento dell’effettivo decesso encefalico del paziente. Non si decreta così perché non si sveglia se lo si punzecchia. Dopo parleremo anche di questo.

Inoltre, si parla ancora di coma, di espianto e soprattutto le notizie dovrebbero riferirsi a risvegli poco prima della firma della donazione degli organi e non prima del prelievo. Chiedere ai parenti di firmare non vuol dire automaticamente procedere con la dichiarazione di decesso del paziente, ma è una forma precauzionale in caso di morte cerebrale. Quindi, attenzione quando si leggono notizie di questo tipo, è bene sempre approfondire e far cadere l’occhio sulle incongruenze.

Quando una persona muore cerebralmente?

morte cerebrale
Personal trainer

Nel paziente in morte cerebrale vi è una distruzione irreversibile di tutte le parti del cervello quindi sia la parte corticale dove ha sede la coscienza del paziente, quindi la capacità di interagire con il mondo esterno, ma soprattutto la parte più profonda dove hanno sede i centri vitali in particolar modo il centro dell’attività respiratoria e del battito cardiaco, se muore questa parte del cervello è morto il paziente perché non è più in grado di respirare autonomamente.

Poiché questa condizione si verifica tipicamente nel paziente in rianimazione, ciò che confonde maggiormente è il fatto che il paziente sembra continuare a respirare, in realtà non sta respirando autonomamente ma respira poiché è collegato a delle apparecchiature in particolar modo il respiratore che permette ai suoi organi di essere ossigenati e questo fa sì che il cuore batta ma in realtà il paziente è morto. (Marinella Zanierato, direttore della struttura semplice di rianimazione in ambito di donazioni e trapianti di organi al policlinico San Matteo di Pavia, sul sito ufficiale della Fondazione Veronesi).

Prima di scegliere di donare gli organi, una questione non mi dava pace: se anche l’encefalo risulti compromesso, è possibile che altre porzioni di cervello sopravvivano?

Quelle deputate alla memoria o alle emozioni ad esempio. Il mio timore, ma anche quello di altri, era quello di non sentire nulla fisicamente, ma che la mia coscienza possa percepire il pericolo della morte senza che io, però, abbia la facoltà di reagire. La risposta a questa paura risiede nell’immagine che ho incollato sopra: sono tre PET di tre cervelli diversi, uno sano, uno in coma, l’altro morto cerebralmente. Quello in coma mostra dell’attività, seppur minima, indicata dal colore viola, mentre quello morto è completamente nero, inerte, spento. Ogni parte muore con l’encefalo e il paziente non può più provare nulla. Il corpo diventa un involucro e della persona che era non rimane più nulla se non, appunto, organi, tessuti e ossa.

Negli anni ’70, Hans Jonas sostenne che il concetto di morte cerebrale fosse stato introdotto per accelerare i tempi di accertamento della morte e del prelievo. Come lui, chi è contrario ai trapianti pensa che “la volontà di salvare gli organi a ogni costo elimina la volontà di salvare il paziente ad ogni costo” (Massimo Bondì, 2016).

La mia risposta è quella di una persona in accordo con il concetto di morte cerebrale: coloro contro i trapianti di organi preferiscono tenere in vita (se possa essere definita tale) quelle persone il cui organismo non funziona più. Essi sono irrazionalmente attaccati all’esistenza di involucri di carne e ossa che devono dipendere irrimediabilmente da una macchina. Certo, anche il coma porta a questo, ma il paziente può sempre riprendersi, perché è vivo.

Per quanto sia dura accettare la morte di una persona, mi chiedo, ha senso mantenere in vita un organismo che resterà in quello stato potenzialmente all’infinito?

Per quanto riguarda la presunta negligenza dei medici di fronte a persone che lottano per vivere, al fine di accelerare la morte e impossessarsi degli organi, vorrei proporre il severo e rigido processo di verifica di accertamento del decesso encefalico che non dipende solo dai chirurghi e dai medici che hanno seguito il paziente durante gli ultimi istanti della sua vita. La decretazione della morte cerebrale avviene in vari passaggi e le figure professionali che intervengono sono numerose. Non è quindi una sola equipe o un solo medico a decretare il decesso di un paziente. Se non si rispettano minuziosamente tutti i passaggi, si va contro la legge.

Un neurofisiologo, un rianimatore e un medico legale (in nessun modo coinvolti con le associazioni di trapianti) per non meno di sei ore devono tracciare l’elettrocardiogramma e l’elettroencefalogramma del paziente, stuzzicarlo e vedere se reagisce agli stimoli e, infine, provare a lasciarlo respirare autonomamente. Al termine di questi, e altri, test, in caso di incoscienza, apnea ed esami con tracciati piatti, il paziente viene dichiarato morto. Per conoscere tutti i passaggi nello specifico, consiglio di visitare il sito ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità.

Per la Lega e per molti altri, la chirurgia sostitutiva degli organi è un business che sfrutta il corpo dell’uomo per riciclare pezzi di ricambio: “lo Stato diventa azienda di macellazione e distributore di profitti. E’ lo Stato che fa leggi ad uso e consumo della sua Azienda, un indotto gigantesco con giri multimiliardari” (Nerina Negrello, 2018). Quindi lo Stato emanerebbe leggi che favoriscano il prelievo forzato degli organi e le sei ore di test per decretare la morte del paziente sarebbero dunque non abbastanza, portando così a uccidere una persona non in grado di intendere e di volere.

Potrebbe trattarsi quindi di una questione di soldi. Perché un medico, mi chiedo io, dovrebbe uccidere uno sconosciuto per salvarne un altro? Non esiste un commercio legale di organi. Il medico, l’ospedale, la struttura, lo Stato, non guadagna nulla dal prelievo di organi in un paziente per trapiantarli in un altro. Anzi, è meglio per la struttura sanitaria e i medici stessi, per ovvi motivi, tenere in vita un paziente.

Come si diventa donatori?

Una volta raccolte le dovute informazioni sulle modalità di conferma del decesso del paziente e del prelievo degli organi, bisogna compiere un ulteriore passo per acquisire consapevolezza su questo ambito della vita.

E’ bene comprendere tutta la procedura dal decesso al trapianto in un altro essere umano. Queste tristi vicende potrebbero interessare chiunque un giorno: potremmo essere nei panni del paziente che muore, ma anche un suo caro o, perché no, un ricevente. Di seguito, quindi troverai alcune informazioni su ciò che c’è da sapere riguardo alla donazione degli organi prima di firmare.

Il paziente deceduto potrebbe aver firmato in vita l’accettazione alla donazione degli organi o no. In questo caso, la decisione spetta ai familiari. A questo punto, bisogna verificare lo stato dell’organo da espiantare e non devono esserci controindicazioni mediche per gli organi e i tessuti da trapiantare. Soprattutto, in caso di incidenti o di delitti violenti, occorre anche l’autorizzazione delle autorità giudiziarie che stanno svolgendo le indagini.

A questo punto, la valutazione specifica per decretare la morte cerebrale è stata effettuata e non resta che preparare il paziente al prelievo, attraverso la continua ventilazione artificiale e l’assunzione di medicinali che favoriscano la corretta circolazione sanguigna e mantengano in salute gli organi. Il prelievo deve avvenire entro 24 ore dal momento del decesso poiché un tempo più prolungato potrebbe danneggiare l’organo.

A seguito del prelievo, comincia la ricerca di riceventi compatibili. Occorrono numerose e attente analisi perché il sangue del paziente e i suoi tessuti non vengano rigettati da quelli del ricevente. Sono necessarie quindi analisi anche da parte di questo.

La destinazione di un organo non dipende solo dalla massima compatibilità a livello organico. Vigono leggi secondo cui alcune persone hanno la precedenza: l’organo viene donato ai pazienti che abitano più vicini al donatore, per esempio, o a chi ha più probabilità di sopravvivenza a lungo.

Queste scelte avvengono in tempi brevissimi in modo da non danneggiare il prezioso organo. I congiunti possono vedere il proprio caro una volta prelevati gli organi e non sapranno mai l’identità dei riceventi, anche se oggi si lotta ancora per concedere l’incontro tra le parti se consensuale. Possono però informarsi sul buon esito del trapianto.

Affrontato anche il discorso sulle modalità di prelievo e trapianto è il momento di scegliere. A differenza di come molti pensano, in Italia non esiste la legge del silenzio assenso. Nessuno preleva organi senza il via del paziente stesso o dei familiari. Il donatore può esprimere il suo consenso attraverso la tessera blu del Ministero della Salute da portare sempre con sé, iscrivendosi all’AIDO o redigendo un documento scritto a mano e firmato in cui si dichiara la volontà di donare gli organi dopo il decesso.

Non esistono limiti di età per donare: l’importante è essere maggiorenni. L’unico limite è imposto a persone che soffrono di alcune patologie: HIV1 o HIV2, epatite B e D, tumori maligni in atto, tranne alcune eccezioni, infezioni per le quali non esistono opzioni terapeutiche praticabili, malattie da prioni accertate.

Conclusioni

Decidere di donare gli organi non è un’azione che deve essere dettata solo da una vocazione o perché qualcun altro lo fa. Bisogna raccogliere informazioni da fonti autorevoli e valutarle a fondo. Dopotutto, si sta trattando un argomento che fa parte della propria vita, ovvero la morte.

I cadaveri non sono altro che esseri umani che hanno perso la capacità giuridica. Con la scelta di firmare una dichiarazione di donazione in vita, possiamo, dopo il decesso, mantenere la capacità d’agire. Sarà l’ultima decisione che prenderemo nonostante non saremo più in grado di intendere, di volere ed esprimerci. Questo toglie una grossa responsabilità ai nostri parenti che devono scegliere per noi, ma anche ai medici e a chi tratta i prelievi e i trapianti.

Non c’è una scelta giusta o una sbagliata quando si ragiona se firmare o no una dichiarazione di volontà per la donazione degli organi. L’importante è non basare la propria conoscenza dell’argomento su giudizi nati dalla paura, dalla disinformazione e dalle fake news. Piuttosto, bisogna tenere in considerazione le testimonianze di trapianti ben riusciti, la speranza dei riceventi, la serenità dei familiari dei defunti, sapendo che la morte del loro caro ha salvato altre vite. Oltre questo aspetto, è necessario basarsi solo su prove scientifiche, esami clinici e le parole di chi ha studiato tutta la vita per poter spiegare cosa significhi morire e donare gli organi.

Io sono dell’idea che la morte sia la conclusione assoluta della vita: non c’è nulla dopo, secondo la concezione cartesiana che l’essere umano sia res cogitans, ovvero si percepisce solo come essere pensante. Dal mio punto di vista, quando questa situazione viene meno, non si è più esseri umani.

Penso che il giorno della mia morte coinciderà con il momento in cui tutte le mie funzioni cerebrali verranno meno e non sarò altro che un corpo pronto per la sepoltura. Almeno, con il consenso alla donazione, il mio decesso non sarà inutile e alcune parti di me continueranno a vivere in altri posti d’Italia.