Dove un tempo c’era un bar pieno zeppo di prostitute con i tesserini con le foto sopra che dichiaravano come professione quella di ballerina, oggi c’è un ristorante chiamato Immacolata Concezione.

Dove un tempo c’era un baretto che i paulistani, i mineiros e i capixaba in viaggio di affari a Rio frequentavano quando volevano una o più ragazze con cui passare la notte, ora c’è una chiesetta evangelica, un tempio di due stanze con le sedie rosse e il pulpito per i discorsi del pastore. Il Cicciolina, discoteca luogo di incontro tra turisti e prostitute con musica rigorosamente anni ottanta, ha chiuso. Ha chiuso l’Help, storico locale del Posto Cinque, a Copacabana, dove “anche le guardarobiere sono puttane”, così disse un pilota Alitalia quando mi consigliò di visitarlo.

Copacabana non è più quella di una volta e Don Matteo, prete missionario, parcheggiato in un monolocale perché i suoi progetti sociali nella favela sono stati sospesi a tempo indeterminato a causa di un’ondata di violenza, è disperato.

Gli hanno suggerito, per sfogarsi, di entrare al piano sopraelevato di una casettina nella Barata Ribeiro, angolo Siqueira Campos, una costruzione giallognola ma lui, che ci è andato a curiosare davanti, ha visto uscire dalla porticina misteriosa un donnone grasso e sfatto, per niente attraente, e subito gli è passato l’anelito all’erezione che poteva finalmente sverginarlo.
Don Matteo a Copacabana a parte vaneggiare intorno alla scopata straordinaria che potrebbe dare un’altra direzione al suo viaggio in Brasile, e alla sua vita, non ha niente da fare.

Chiuso in una stanza di pochi metri quadrati beve birra scadente e mangia tartine al formaggio, davanti alla televisione.

Fuma, tra un telegiornale e l’altro, e ogni tanto viene sorpreso dalle sparatorie nella vicina favela di Tabajara nella quale, come in tutte le favelas di Rio, le fazioni Amigos dos Amigos e Comando Vermelho si stanno contendendo il territorio. A causa della violenza e dell’insicurezza nell’accesso ai luoghi di rivendita di droga, i narcotrafficanti stanno diventando poveri e la manodopera del narcotraffico ha ripreso a sorprendere, armata, i passanti e a rubare cellulari, orologi, collane, orecchini. Nessun quartiere di Rio è sicuro. Don Matteo ha paura di uscire di casa e, quando vi è costretto, si aggira guardingo tra la salita di Tabajara e la più vicina panetteria o entra furtivo nello Shopping degli Antiquari della Siqueira Campos e consuma un pasto frugale in un qualche self service osservando sempre sospettoso i clienti e i passanti peggio vestiti e più scuri di pelle.

Probabilmente la sua è una forma di razzismo, ma il tipico ladruncolo omicida il prete italiano lo immagina negro e mal vestito come quello che sta bevendo, vicino a lui, della cachaça da un bicchiere dozzinale, da cucina.

Il prete è seduto su uno sgabello di legno dentro alla galleria dello Shopping degli Antiquari, al bancone di un bar sgangherato. Tra i clienti due figuri con la maglietta bianconera del Santos, che forse non sono abitanti di Rio, e il negro scalzo, bermuda strappati, anche lui appollaiato su uno sgabello. Il missionario italiano, di fianco allo straccione, beve una birra gelata e fissa lo schermo della televisione con la consueta partita di calcio. In Brasile, come in Italia, tutti i giorni in televisione c’è il calcio. L’italiano si annoia da morire e sta pensando alla serata, cercando di risolvere tra sé e sé il continuo dilemma tra la soddisfazione dell’impulso sessuale e l’astinenza.

In realtà gli hanno consigliato di visitare Enrico, il parroco della chiesa all’ultimo piano dello shopping, italiano come lui, di Sondrio mentre lui è di Milano (ma a Matteo gli sono sempre piaciute le montagne).

Amici di amici gli hanno scritto che Enrico sicuramente lo aiuterà con i suoi progetti nella favela ma a cosa gli serve l’ausilio del connazionale se nella favela tutti i giorni sparano, se sotto il fuoco incrociato lui gli adolescenti suoi studenti non ce li può far passare?
Matteo svuota il bicchiere di birra quando il negro salta giù dallo sgabello emettendo un grido strano, da svitato, e sbatte i piedi nudi contro il suolo. L’italiano si spaventa e, d’istinto, afferra il cellulare nella tasca e il borsellino, con le carte di credito e le monetine.

Il barbone con i capelli ricci fissa l’italiano. L’italiano di mezza età fissa il ragazzo a cui mancano due denti.

– Me lo dai qualche soldo? – chiede quello.
– Certo, certo – risponde ansimante Don Matteo che dal borsellino estrae una banconota da cinque reais e gliela porge.
– Barista! – grida l’uomo sporco – Ne voglio un’altra -.
L’inserviente riempie di cachaça il bicchiere del cliente e lancia al missionario un’occhiata di rimprovero.