[dropcap]G[/dropcap]eremy, da alcuni giorni, stava poco bene e, per i numerosi impegni, si trascurava e rinviava la visita medica. In ospedale il primario, dopo averlo visitato e aver fatto eseguire una rx-toracica, invitò il prete a ricoverarsi visto che la bronchite si era trasformata in polmonite. L’ammalato rifiutò categoricamente e si fece assegnare una cura da seguire a casa. Vane furono le mie insistenze. Passarono alcuni giorni e mi convinsi che, forse, la cura stava avendo gli effetti sperati. Geremy continuò a mantenere fede agli impegni presi in precedenza e neanche cominciò la cura. Non passò una settimana dalla visita, che mi arrivò una telefonata nella quale mi si faceva sapere che il reverendo, nella notte, si era sentito male ed era stato ricoverato d’urgenza. Essendo libero da impegni di lavoro, lo andai a trovare per rincuorarlo, facendogli capire che presto, dopo pochi giorni sarebbe uscito. Sapeva che non era così e che occorreva più tempo, ma non fiatò. Ogni giorno mi fermavo a fargli compagnia più che potevo, ma lui era sempre più rabbuiato e taciturno; leggeva il breviario e rispondeva a monosillabi. Una sera, andando a trovarlo, vidi che respirava a fatica tanto che i medici per farlo stare più sereno gli avevano dato dei calmanti e applicato la maschera dell’ossigeno. Sembrava dormisse ma di un sonno agitato. Decisi di fermarmi lì e passare la notte in ospedale, tanto ero preoccupato. Ero veramente affezionato a Geremy e lo consideravo un fratello. [pullquote]Ero veramente affezionato a Geremy e lo consideravo un fratello.[/pullquote]
[dropcap]I[/dropcap]l pensiero mi portò alla mente il ricovero di mio padre,tanti anni addietro, pure per una bronchite trascurata. Non che fosse in pericolo di vita ma, considerato che lui era il tipo che si trascurava, diedi il mio consenso per il ricovero. Accompagnato da un infermiere, fu portato in una stanza dove c’era un altro ricoverato che dormiva. Dei due letti vuoti preferì quello vicino alla finestra e così lo sistemarono. Si coricò nell’attesa che il medico del reparto lo visitasse per iniziare la cura. Mio padre, non era mai stato in un ospedale né tanto meno ricoverato. Era nervoso e capendo al volo il suo stato d’animo, lo tranquillizzai dicendogli: “Stai calmo, rilassati. Mi fermerò qua tutta la notte. Se occorre ti farò compagnia anche in seguito”. Quando lui si addormentò io uscii e andai al bar a bere un caffè e a fumare una sigaretta. Comprai pure qualche giornale e fra una notizia e l’altra vidi albeggiare facendomi trovare vicino al suo letto quando si svegliò. Si alzò, andò in bagno e si preparò per la visita, anche se ancora dovevano passare delle ore. Lavato, rasato e messo un po’ di profumo fece la colazione, mentre io andai via con la scusa che dovevo cambiarmi d’abito. Feci una lunga doccia, mi vestii ed uscii a sbrigare alcune cose. Cercai di fare prima possibile, ma, il tempo trascorse velocemente. Potei ritornare in ospedale solo nel tardo pomeriggio. Varcai il portone e salii le scale velocemente. Mio padre era sull’uscio della porta della stanza che aspettava me. Alla mia vista si rallegrò ed i suoi occhi azzurri luccicarono di gioia. Mi aggiornò della visita, della terapia, di cosa aveva fatto nella giornata. Non poté fare a meno di chiedermi perché avevo impiegato tanto tempo a tornare. Mi disse anche che aveva parlato con la capo-sala ed aveva ottenuto il permesso perché io potessi dormire, ancora una notte, in ospedale. [pullquote]Anche senza il permesso, mi sarei sacrificato nei corridoi dello stabile, pur di stare vicino al mio “vecchio”.[/pullquote]Si era sacrificato tanto per me, affinché continuassi la scuola per diplomarmi. Le rette da pagare,i libri da comprare, gli abiti che occorrevano, mai usciva un lamento dalla sua bocca. Questo mio sacrificio era un granello di sabbia rispetto alla montagna che lui aveva scalato per me. Mangiava una volta al giorno e, molto stanco, la sera andava subito a dormire, senza concedersi un poco di pace, per alzarsi presto e andare a lavorare per me. Rientrammo nella stanza e si coricò evitando di prendere freddo o qualche folata di vento nel caso qualcuno aprisse la finestra.
[dropcap]L[/dropcap]’altro ricoverato si era alzato. In cuor mio pensai che, dormendo, aveva recuperato le forze e ora poteva fare la sua pulizia personale. Quando entrò lo osservai bene. La sua età doveva aggirarsi sui settanta, alto, robusto, capelli bianchi e lisci. Viso rotondo e occhi castani. Quello che mi meravigliò fu il colorito giallognolo. Il suo viso mi era nuovo; forse, era di un paese limitrofo. Lo salutai e ricambiò il saluto chiedendomi le notizie del giorno, visto che avevo il giornale sottobraccio. Mi avvicinai e conversammo del più e del meno. Gli porsi il giornale per farglielo leggere, ma fece un no col capo in quanto ormai ci vedeva poco da vicino. Mi disse che, anche se era Zaramese, si considerava uno straniero sia perché non aveva più parenti sia perché era stato tanto tempo fuori a lavorare in Germania. Era venuto a morire dove era nato. [pullquote]Era venuto a morire dove era nato.[/pullquote]
[dropcap]I[/dropcap]ntorno alle ventidue mio padre era sereno e mi disse che potevo tornare a casa a vedere i bambini e che non era necessario che io rimanessi là. Effettivamente era tranquillo ed andai via. Alle sette in punto,la mattina dopo, ero già in ospedale e trovai mio padre nel corridoio. Mi pregò di non entrare perché l’altro ammalato aveva avuto, nella notte, una crisi molto violenta e i medici erano stati molte ore con lui. Ci trovavamo ancora nel corridoio quando mi vide un mio amico medico il quale lavorava nel reparto. Si avvicinò e ci salutammo. Disse che aveva letto la cartella di papà e che, fra meno di una settimana, sarebbe uscito guarito. L’altro ammalato soffriva di cirrosi epatica, era ormai in fase terminale; aveva pochi giorni di vita. Forse,uno o due.
Quel giorno non accadde più nulla e chiesi a mio padre se voleva essere spostato di camera per non rimanere scosso. Rifiutò categoricamente; non si sentiva di fare uno sgarbo a quel signore anche se non lo conosceva. Alle diciannove servirono la cena e dopo un poco mio padre si addormentò.
Mi sentii afferrare il braccio e mi girai verso l’altro ammalato. Con un filo di voce mi chiese di chiamare un medico o l’infermiere perché accusava fitte al cuore. Il medico prontamente lo visitò e lo rassicurò dicendo che si trattava di un dolore intercostale. Rimasti soli, quel signore cominciò a parlare e mi raccontò brevemente la sua vita, la morte della moglie, i dissapori con i figli, la partenza per l’estero, il bere per dimenticare. Lo tranquillizzai e dissi che ero disponibile per quello che era materialmente possibile fare.
La mattina successiva il primario e la sua equipe visitò i vari ammalati e quando entrarono nella stanza di papà, per educazione e correttezza, uscii nel corridoio ma mi si disse di rimanere per parlare di come stava andando la cura. Probabilmente il mio amico medico aveva parlato, in precedenza col primario. Visitò prima mio padre e rivoltosi a me disse che fra due giorni avrei potuto portare a casa papà. Visitò anche l’altro e aggiunse: ”lei deve stare qualche giorno in più. Presto la dimetteremo.” L’ammalato,sempre con un filo di voce,disse: ”abbia rispetto per la mia età. Sò che, ormai, è questione di giorni,se non di ore.”
[dropcap]A[/dropcap] quel punto aprì il cassetto del comodino, prese un portafoglio e disse al primario: “questo portafoglio contiene tanti soldi. E’ il risparmio di una vita di lavoro. Io lo lascio all’ospedale in beneficenza a patto che lei esaudisca il mio ultimo desiderio.” Il primario si accostò al suo letto dicendogli: ”sentiamo cosa vuole. Se è possibile lei sarà accontentato anche senza la beneficenza.” L’ammalato si alzò a mezzo letto e disse: ”datemi un sorso di liquore e io morirò felice”.[pullquote]”datemi un sorso di liquore e io morirò felice”[/pullquote] Il medico scosse la testa e rifiutò categoricamente dicendo: “mi dispiace. Noi dobbiamo curare i nostri ammalati e salvarli. Non possiamo dare loro qualcosa che possa peggiorare il suo stato di salute..” Il medico prese i soldi li ripose nel cassetto e alzatosi disse: ”mi dispiace,anche con una somma cento volte maggiore, lei non può comperarsi la morte e, stia certo, non sarò io quello che cercherà di creare una crisi scatenante per provocare la sua dipartita.”Quel signore ammutolì. Si sentiva mortificato ed umiliato. [pullquote]Si girò su di un fianco e pianse tanto.[/pullquote]
[dropcap]N[/dropcap]el pomeriggio uscii per andare a prendere un caffè e dopo averlo bevuto chiesi un brandy da portare via. Misi il bicchiere in tasca e ritornai in ospedale. Dopo cena, quando tutto era più tranquillo e papà dormiva io mi avvicinai a quel signore invitandolo al silenzio e a mettersi un po’ su. Lo aiutai io e gli porsi il bicchierino mettendo l’indice in bocca. Capì subito, prese il bicchiere e assaggiò quello che per lui era nettare. Si inumidì le labbra e la lingua passandosela fra le gengive. Poi in un fiato bevve il resto. Strinse le sue mani alle mie ringraziandomi. Feci scomparire il bicchiere nella tasca, salutai ed andai via. Seppi da mio padre che quella notte, intorno alle una, il medico di guardia entrò per controllarlo e dopo averlo chiamato più volte, senza risposta, constatò il suo decesso. Il defunto aveva le guance rosee e sembrava sorridere al mondo. Il nettare della vita eterna aveva fatto il suo effetto.[pullquote] Il nettare della vita eterna aveva fatto il suo effetto.[/pullquote] Dove sarebbe andato, non avrebbe patito né la fame né la sete né le storture della vita terrena. Quando Geremy,alcune ore dopo,si svegliò, mi vide seduto sulla sponda del suo letto. Voleva parlare ma gli mancavano le forze. Fui io che presi la parola e lo rimproverai di essersi comportato come un bambino viziato. Ora lui si doveva trattenere in ospedale fino a completa guarigione anche a costo di legarlo al letto. Quando la notizia del ricovero si sparse furono tante le visite che la mia presenza non fu più necessaria di giorno. Mi facevo vedere tutte le sere e mi fermavo fino a tardi. Passarono dieci giorni e, finalmente, Geremy, poté uscire e ritornare a casa.