Maria Messina, una scrittrice « impolverata » da riscoprire

Intensi rapporti epistolari con Verga e Ada Negri. Una scrittrice verista, ma con una punta di autonomia, in quanto presta la voce alle vinte tra i vinti.

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Sulle donne scrittrici spesso si forma un castello di polvere e finiscono dimenticate nelle soffitte proprio come Maria Messina. Non entrano mai nelle antologie scolastiche, pur avendo scritto intense pagine letterarie. Io sono una docente molto attenta all’altra metà del cielo, eppure questa scrittrice mi era sfuggita. Ancora una volta ad accendere i riflettori è stato quel mio amico, che mi nutre di Cultura. Nei mercatini dell’usato di cui è un esperto, riesce sempre a trovare delle «chicche» e così ho cominciato a leggere racconti e romanzi di una delle più grandi scrittrici siciliane, su cui è sceso l’oblio, nonostante la riscoperta letteraria di Leonardo Sciascia negli anni 80.

Maria Messina nasce a Palermo nel 1897 si trasferisce a Mistretta, poi in giro per l’Italia dietro alla famiglia.

A 20 anni la sclerosi multipla, che segna la sua vita. Intensi rapporti epistolari con Verga e Ada Negri. Una scrittrice verista, ma con una punta di autonomia, in quanto presta la voce alle vinte tra i vinti. Una signorina di buona famiglia, che denuncia situazioni di vergogna nelle case rispettabili. Donne che entrano in punta di piedi per non disturbare il maschio padrone Nonne sagge, madri silenziosi padri despoti. Ogni romanzo, ogni racconto ha come filo conduttore la donna. Le briciole del destino già il titolo è evidente per scoprire la condizione delle donne «vinte». La casa del vicolo, la donna sottomessa alla famiglia patriarcale siciliana, una donna, a cui è negata ogni autonomia.

Questa denuncia è presente in tutti i suoi lavori.

La donna è «una pupattola del cencio», che non ha voce per gridare i diritti negati, la mancanza di libertà. Nella corrente letteraria del verismo in cui è collocabile per la mancanza di Provvidenza divina e umana, il destino così è la Messina mantiene però la sua voce autonoma. La mano della scrittrice partecipa alla denuncia della condizione, non rispetta il canone della impersonalità dell’opera. Lo Sciascia nella riscoperta anni 80 la definisce una «Mansfield siciliana», ma i riflettori si sono già nuovamente offuscati. Un altro tema importante che affronta e di grande attualità è quello dell’emigrazione, anche qui dando voce alla condizione della donna, da quella che resta in casa a quella che allatta durante il viaggio.