Nagil dei Tomen

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Spesso riusciva a schivare gli esili tronchi ma quando nell’impeto della corsa ne impattava qualcuno, allora rovinava miseramente tra sterpi e foglie marce. Nagil sapeva che doveva mettersi in piedi e riprendere la corsa anche se ogni centimetro del suo corpo implorava riposo. Colse, con terrore, l’avvicinarsi degli orchi dai loro richiami gutturali sempre meno fiochi. Solo il tanfo della palude che si estendeva alla sua sinistra, ebbe il potere di darle nuovo vigore. Si diresse verso quella zona che ogni essere senziente avrebbe accuratamente cercato di evitare. In breve la melma ricoprì le caviglie. Ora al fresco delle mangrovie poteva intravedere le ombre sgraziate che si accalcavano ai confini della palude. Per niente al mondo gli orchi avrebbero osato varcare quel limite. La sua tenera carne per il momento era salva.

Nemmeno però nessun tomen l’aveva mai fatto, escludendo qualche avido mercante che in passato si era avventurato alla ricerca di quelle meravigliose sete con cui gli antichi tomen usavano vestirsi. Mai nessuno però ne era uscito vivo per raccontarne.

Nagil avanzava circospetta, attenta ad ogni rumore, sapeva che gli occhi degli abitanti della palude la stavano registrando.

La sua destra stringeva il pugnale, quello forgiato con le sette leghe in grado di trafiggere ogni cosa. Ma fu quando sentì che non era quello l’approccio giusto e decise di levare la presa dall’impugnatura che si allentarono le resistenze al suo passaggio. Un volatile, con delle curiose basette ai lati del becco, planò su un ramo basso e prese a rassettarsi le piume. Nagil fu rapita dai colori di un fiore che spuntava a pelo d’acqua, colori che non aveva mai visto.

“L’amore – le ripeteva sua nonna – è l’arma più potente. Non limitartene nell’uso.” Sorrise mentre risuonava nella sua mente quella mancata articolazione della erre tipica delle donne appartenenti alla sua famiglia.

Si sorprese a godere delle bellezze del luogo, mentre notava con stupore che la paura si andava stemperando. Due lumache di palude sfregando le antennine produssero un pulviscolo roseo. Nagil si abbassò cercando di capirne il messaggio.

“Gli orchi che ti inseguivano hanno preso il sentiero di ritorno, ma se decidi di restare sarai la benvenuta.”

Si girò a individuare la provenienza della voce. Su una corteccia ricoperta di alghe, restava in precario equilibrio una vecchia, curva sotto il peso di un logoro scialle.

Pensò ai saperi che la palude avrebbe saputo dipanarle. In fondo la nonna, nell’arco della sua infanzia, le aveva trasmesso l’intera cultura dei tomen, non aveva nient’altro da apprendere fra la sua gente.