Non sono vegano. Adoro il prosciutto crudo, non posso resistere ad una salsiccia ben cotta alla brace ma c’è un aspetto della filosofia vegana a cui è impossibile dissentire.
Lo so, assomigliano ai testimoni di Geova quando cominciano a funestare la fine del mondo ma quel famoso capo indiano (che ora non ricordo) aveva ragione quando diceva che quando l’uomo bianco avrà abbattuto l’ultimo albero e pescato l’ultimo pesce allora saprà che il denaro non si mangia.
E lui non era mica vegano.
Anzi a lui piaceva un sacco la carne di bisonte…okay questo è un cliché che ho buttato lì per fare una battuta. Però è vero (che non era vegano e anche ciò che sosteneva, ovviamente) perciò ho deciso che non diventerò vegano ma rinuncerò ad ogni tipo di carne che provenga da allevamenti intensivi mentre eliminerò “del tutto” il pesce.
Lo so, niente più sushi, la mia ragazza mi ucciderà e voi state pensando che sia stato il mio portafoglio a farmi prendere questa decisione ed invece avete ragione solo in parte: ho visto un documentario che vi consiglio: Racing Extinction. E ho pensato che avrei dovuto promuoverlo in ogni modo, non solo il documentario in sè ma il messaggio che veicola.
L’idea è che se non cambieremo nulla c’è poco da sperare, ma non è detta l’ultima parola.
Oggi sempre più siamo bombardati dalle nuove tendenze volte a rispettare la natura, l’ecosistema e a prevenire disastri di ogni tipo. Pandemie incluse. Proprio per questo si diffondono movimenti o filosofie del mangiare di ogni tipo. L’obiettivo è prima di tutto far bene al corpo e di conseguenza anche alla società. Vegani, respiriani, vaporiani… chi più ne ha più ne metta. C’è chi si diverte a dire che non solo la carne fa male ma che le scoregge delle mucche inquinano.
Io rispetto tutti coloro che cercano di seguire una determinata filosofia con l’obiettivo di raggiungere un bene comune. Io non sono vegano e non lo sarò mai ma comprendo l’importanza di tali movimenti.