Normanni e visi d’arabi, di Sebastiano Impalà

La recensione del libro "Normanni e visi d'arabi"

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Leggere questa raccolta del poeta Impalà significa indossare lo sguardo di un viaggiatore e farsi trascinare lungo le irte strade dell’inconscio, perchè il viaggio e il poeta sono un unicum indivisibile.

Ricorrono nei suoi versi immagini di sandali spellati e scarpe bagnate, parole come tragitto, tram e vagoni di treno, forte è l’anelito di ricongiungimento alla sua terra, spesso paragonata a una donna dai seni abbondanti, emblema di fecondità, nutrimento e accoglienza.

Ho riconosciuto nei suoi versi la sindrome del tutto e nulla, tipico di chi a lungo ha vissuto altrove, immergendosi nel tutto della nuova terra, stringendo tra le mani il nulla nell’atrio immacolato del rimpianto.

Una costante della sua poetica è l’amore per la sua terra a cui dedica l’ultimo pensiero prima del sonno, ma anche la ricerca del nuovo “sarò uccello dalle ali bianche in cerca di ristoro sulle fresche colline del tuo viso” e di ciò che è già stato “ti cerco e ti trovo amore perduto nel duodeno del mondo”.

Ovunque rimbalzano le note di quel pentagramma del vigore siciliano, l’orgoglio di appartenere all’isola che diede i natali a tanti illustri scrittori, (vedasi Scrittore sicano dedicato a Sciascia, o anche il componimento Luce sullo stretto),ma è in Fui che riconosco l’uomo e il fratello con cui il mio Salento condivide storia e civiltà: Fui greco e saraceno, arabo e normanno, francese nella testa, spagnolo nell’inganno…

L’amore per la letteratura, intriso di riferimenti mitologici e desideri onirici, abita ogni verso del Nostro,  forse per i più è evidente nelle liriche dedicate a Doris Lessing, a Neruda, a Cleopatra, alla Merini, io invece lo colgo nei dettagli; nel suo interrogarsi sul mare che conduce a solitudini remote ho visto Ulisse e le sirene, in Lampedusa scorgo il pianto delle madri e il museo dei migranti sommersi e la diatriba tra ricerca della verità e risposte impossibili si fa incalzante… “e noi che respiriamo l’assoluto invano cercheremo una risposta nei versi di poeti trasandati”

Egli sembra affidare un compito al poeta quando scrive:

Salgo colli infiniti dove stanno i poeti che con cetre spezzate armonizzano il mondo… e non conta se ci si arriva seguendo le impronte dei grandi o percorrendo le vie del pensiero divergente: “e mi conosco, otticamente tuo, io chirurgo di idee traverse”(in Cleopatra), ciò che conta, malgrado le guerre e le calamità del nostro tempo, è credere che la Poesia possa riconciliarci con la nostra umanità perduta, ricreare armonia e tramandare ai posteri istanti di bellezza.

Claudia Piccinno

 

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