Oi Deo d’amore – Agosto 1241.

Nella tenda di Federico II, accampato con il suo esercito presso Ponte Lucano, a Tivoli, si presenta un uomo. “Sire, un tale di nome Gualtiero vuole conferire con la Sua illustre persona. Dice di aver scritto una poesia sullʼamore, che intende far recapitare al nostro Notaro. Lo faccio passare?”.

E così quella poesia – la prima di tre – verrà effettivamente portata allʼattenzione di Jacopo da Lentini, detto il Notaro, dandosi dunque inizio alla famosaʻtenzoneʼ tra quel tale, noto in città come Abate di Tivoli, e il membro più autorevole della Scuola Siciliana.

Oi Deo dʼamore, a te faccio preghera
ca mi ’ntendiate s’io chero razone:
cad io son tutto fatto a tua manera,
aggio cavelli e barba a tua fazzone,
ad ogni parte aio, viso e cera,
e seggio in quattro serpi ogni stagione;
per l’ali gran giornata m’è leggera,
son benenato a tua isperagione.
E son montato per le quattro scale,
e som’asiso, ma tu m’ài feruto
de lo dardo de l’auro, ond’ò gran male,
che per mezzo lo core m’ài partuto:
di quello de lo piombo fa’altretale
a quella per cui questo m’è avenuto.

‘Oi Deo d’amore, a te faccio preghera’
dell’Abate di Tivoli a Jacopo da Lentini